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SOSteniamo la biodiversità: 10.000 Orti in Africa con Slow Food

La cena di infoSOStenibile quest’anno a sostegno di progetti di agricoltura e sovranità alimentare

«Realizzare 10.000 orti buoni, puliti e giusti nelle scuole e nelle comunità africane significa sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della biodiversità alimentare e dell’accesso a cibi sani e freschi, ma anche formare una rete di leader consapevoli del valore della propria terra e della propria cultura»: questo l’obiettivo della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus con un’ottica e un impegno che va al di là della semplice necessità di attenuare una emergenza.

Con uno sguardo di lunga prospettiva e con profonde radici e competenze negli ambiti agricolo e alimentare, Slow Food propone una progettualità che va al cuore della questione, a cui come infoSOStenibile intendiamo contribuire nel modo più convinto possibile: per ridare il giusto valore al cibo occorre una comunità consapevole e persone capaci di alimentare un’economia sociale legata al territorio e all’ambiente.

E questo - ci viene da dire - non solo in Africa, ma anche nel nord del mondo. Anzi, a voler ben guardare, l’analogia con molte delle questioni emerse durante il G7 agricoltura di Bergamo si impone e non fa più molta differenza in quale parte del Pianeta si viva: le logiche sono le stesse, anche se è vero che nel continente africano le conseguenze si esprimono in modo più acuto e grave, soprattutto per i bambini e le fasce più deboli della popolazione.

Come nasce un orto Slow Food

Gli orti Slow Food sono progettati, realizzati e gestiti dalle comunità africane. In Africa ogni orto ha un proprio referente e ogni paese ha uno o più responsabili del progetto, incaricati del coordinamento a livello nazionale e regionale.

Fra i responsabili ci sono numerosi agronomi e diversi giovani che sono rientrati nel loro paese dopo aver frequentato l’Università di Scienze Gastronomiche (in Italia) o altre scuole e università (negli Stati Uniti, in Francia, o altri paesi).

In Italia, presso la sede di Slow Food Internazionale, esiste poi un ufficio composto da un gruppo di persone di diverse nazionalità, che lavorano a stretto contatto con i referenti dei vari paesi africani.

Le comunità locali privilegiano prodotti tradizionali (ortaggi, frutta, erbe aromatiche e medicinali), usano tecniche sostenibili, coinvolgono i giovani e si basano sui saperi degli anziani.

Circa un terzo degli orti sono scolastici, aule all’aria aperta con un’importante funzione educativa e, dove esiste la mensa, alimentare. Gli altri sono comunitari e i prodotti sono usati innanzitutto per migliorare l’apporto nutritivo nella dieta quotidiana, mentre l’eccedenza è venduta e diventa fonte di integrazione del reddito.

C’è una condizione di partenza indispensabile per l’avvio di un orto: il coinvolgimento delle comunità locali. L’orto ha successo solo se si valorizzano le capacità di ogni membro della comunità.

Prima di iniziare i lavori preparatori dell’orto occorre pertanto riunire tutte le persone che possono dare una mano e decidere insieme quali attrezzatture sono necessarie, come verranno suddivisi i compiti, ecc.

È importante mettere insieme il sapere degli anziani, la conoscenza delle donne, l’energia e la creatività dei giovani, le competenze dei tecnici (agronomi, veterinari) e dei cuochi. Una volta costituito il gruppo di lavoro, bisogna osservare il territorio per capire dove è meglio sistemare l’orto e cosa è meglio coltivare: la scelta avviene in base al clima, all’esposizione, al tipo di terreno e alla disponibilità d’acqua.

Un orto è una goccia nel mare rispetto ai problemi con cui si confronta l’Africa ogni giorno. Ma se di questi orti ce ne sono cento, mille, diecimila, e tutti insieme dialogano e si sostengono, il loro impatto cresce.

Insieme, possono trasformarsi in un’unica voce: contro il land grabbing, gli ogm e l’agricoltura intensiva, a favore dei saperi tradizionali, della sostenibilità e della sovranità alimentare. E possono rappresentare una speranza per migliaia di giovani.

Diego Moratti

Ottobre 2017

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