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Che genere di questione?

Che genere di questione?

Da quasi settant’anni (solo?) in Italia l’articolo 3 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]».

Dunque, siamo ancora convinti si tratti di una questione di genere? Dignità, rispetto, pari opportunità da riconoscere a donne e uomini: di diritti si sta parlando, non di opinioni, diritti universali, non di genere.

Tuttavia, purtroppo e a malincuore ci troviamo ancora oggi, alle soglie della primavera del 2016, a parlare di “questione femminile”. Beh, d’altronde perché stupirsi troppo?

Non si potrà dire che avremo raggiunto un alto livello di civiltà, o meglio di umanità, finché le donne -ma come loro anche omosessuali, disabili, immigrati, o l’etnia stigmatizzata di turno- verranno considerate alla stregua di specie da proteggere, in lotta ogni giorno per la conquista di diritti -non di rado poi concessi a rate o a brandelli- che dovrebbero al contrario essere garantiti in quanto intrinsechi nella natura stessa di esseri umani.

E così ci siamo detti che tralasciare del tutto la questione su questo numero sarebbe stato ancor peggio. Dunque eccoci qui a cogliere l’occasione di un mese, quello di marzo, per proporre anche la nostra chiave di lettura con un po’ più di forza di quanto già non facciamo nel resto dell’anno.

In genere l’opinione pubblica si indigna e prende parte al dibattito sulle questioni di genere giusto in quei due o tre giorni all’anno, in cui una qualche giornata mondiale porta il discorso alla ribalta o quando i riflettori mediatici puntano il proprio faro su fatti di cronaca, meglio se violenti.

Per noi la questione è invece un fatto di sostenibilità sociale, che necessariamente deve passare attraverso un equilibrio di genere, che a sua volta non può prescindere da una condivisione consolidata e indiscussa di rispetto e fattuale riconoscimento di pari diritti e opportunità.

Nelle pagine che dedichiamo all’argomento all’interno di questo numero di infoSOStenibile si racconta dell’ennesimo episodio di violenza ai danni del “sesso debole”, indagando il contesto sociale alla ricerca delle ragioni più profonde; altre pagine raccontano di esperienze artistiche, imprenditoriali e politiche, lungi dall’aderire però alla retorica del “una su mille ce la fa”, ma con l’intenzione di far emergere il diverso sguardo che uomo e donna rivolgono alle medesime realtà, portando in ciò che fanno il proprio personale modo di essere uomini e donne.

Raccontare e raccontarsi nella diversità, questa l’idea che abbiamo fatto nostra, perché anche nell’affrontare questo genere di questioni è a ognuno di noi, donne o uomini, che spetta la responsabilità del cambiamento: scardinare dinamiche consolidate nel tempo nel rapporto tra i sessi verso un radicale e reale superamento di ingiustizie e discriminazioni fondate sulla differenza di genere.

È necessario sviluppare un senso critico rispetto a modelli culturali inopportuni di cui ci rendiamo vittime quotidianamente, anche nel nostro piccolo; sono le nostre parole e i nostri gesti di tutti i giorni a poter fare la differenza, portando correttezza e parità, nell’interesse di tutti, uomini e donne.

Spesso invece il rischio che hanno corso e corrono alcune donne, pur di superare stereotipi e prevaricazioni, è stato quello di conquistarsi luoghi, spazi e diritti vestendo i panni del peggior maschilismo, da buone “donne con le palle” insomma, distorcendo il proprio essere per riuscire ad affermarsi.

La vera parità sarebbe potersi sentire liberi di essere donne e uomini, non nella competizione tra sessi in lotta per scansare retaggi storici e culturali di inferiorità e dominio, ma nel rispetto e nel valore della propria e altrui diversità. Questioni di genere dunque? Pare di no, alla fine di persone si parla.

Angela Garbelli

Marzo 2016

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