Intervista con Roberta Marasco, scrittrice e blogger di Rosapercaso, sull'importanza del riportare il femminismo a misura di tutte le donne Comprese quelle più romantiche
Roberta Marasco, nel suo lavoro e nei suoi scritti lei affronta spesso tematiche legate al mondo femminile. Cosa significa essere femministe oggi?
Oggi il termine “femminista” è usato spesso come un insulto. Nell'immaginario collettivo attuale una femminista è una piantagrane e una donna fastidiosa, ma di fatto essere femminista significa semplicemente rivendicare il diritto di non essere limitate dalle regole di qualcun altro, di non esaurirci nella cura altrui, di prenderci del tempo per noi: è questo che chiediamo, non altro. Inoltre una donna realizzata non fa bene solo a se stessa ma a tutta la comunità e soprattutto non toglie spazio né potere a nessun altro: eppure la reazione aggressiva che queste richieste scatenano ci dimostra quanta strada c'è ancora da fare.
Nei suoi scritti, lei fa spesso riferimento alle convergenze necessarie tra femminismo e “mondo del rosa”, inteso come mondo delle emozioni e del romanticismo. Che cosa intende con femminismo rosa e perché ritiene che oggi sia necessario?
Il mondo del femminismo e quello del rosa si sono sempre un po' visti come cane e gatto, eppure hanno moltissimi punti in comune e soprattutto hanno un gran bisogno l'uno dell'altro. È necessario costruire un femminismo a cui tutte le donne possano arrivare e dal quale tutte le donne possano sentirsi rappresentate, non solo quelle più combattive ma anche quelle che conducono le proprie battaglie in casa, nel prendersi tempo per sé. È davvero più femminista la donna che manifesta per strada, rispetto alla donna che lotta contro i suoi sensi di colpa se si siede con un libro anziché esaurirsi nella cura di casa, figli, cane e marito?
Sul suo blog lei definisce ironicamente questo atteggiamento “la sindrome dello strofinaccio”.
Sì, è la tendenza che abbiamo noi donne a misurare il nostro valore in base a quanto ci spendiamo per gli altri. Il nome nasce da un episodio raccontatomi da mia nonna, donna emancipata e indipendente ma che, ciononostante, aveva l'abitudine di tenere sempre in tasca uno strofinaccio in modo che il marito, rincasando, non la trovasse con le mani in mano. Ecco, per me femminismo è combattere questa sindrome. È rivendicare il diritto di farci trovare con le mani in mano senza sentirci in colpa.
Le battaglie delle donne devono quindi cominciare in casa?
Conosco moltissime donne che scendono a manifestare in piazza ma prima lasciano la cena in caldo per la famiglia, che tornano a casa di corsa sennò i figli e il marito come fanno, che rifiutano lavori full time perché sennò chi si occupa della casa. Ecco: oggi più che mai una dimensione di piazza è necessaria, serve un movimento che abbia visibilità sociale e politica, ma è altrettanto necessario un femminismo domestico, intimo e quotidiano, che non ci chieda di rinnegare le nostre debolezze per sentirci “più giuste”, che combatta contro i nostri sensi di colpa.
È questo che intendo con femminismo rosa.
Eppure il femminismo tradizionale ha fatto della donna forte e battagliera la sua icona.
È l'aspetto del femminismo tradizionale che condivido meno: pretendere cioè dalla donna che abbia sempre letture colte, che sia intelligente, indipendente, emancipata. In questo modo il femminismo stesso cade nella trappola maschile. Il femminismo dovrebbe invece saper parlare tanto alla donna battagliera quanto alla lettrice accanita di Harmony, e non dovrebbe giudicarle in maniera diversa: sono entrambe donne che cercano la propria strada.
Che cosa auspica per il futuro?
Servono sorellanza e lavoro di squadra, non linguaggi che escludano. È il motivo per cui ho aperto il blog: per provare, nel mio piccolo, a parlare di femminismo in modo diverso e semplice, lasciando spazio anche a emozioni e romanticismo, e tentare così di arrivare a più donne possibile senza farne sentire nessuna sbagliata, poco emancipata o troppo frivola.
Erica Balduzzi