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«Signore, fatemela questa grazia»

Jean François Millet, L'Angelus, 1859

I contadini e la religione nel film. Una fede granitica per vincere patimenti e delusioni

Chiunque guardi il film non può non rendersi conto di quanto la fede fosse basilare nella vita dei contadini. Sono diversi i momenti in cui i personaggi si relazionano con la dimensione trascendente da cui traspare, come ha ricordato Monsignor Goffredo Zanchi (intervenuto nell’aprile 2018 in un convegno dedicato proprio alla fede nel L’albero degli zoccoli) che la religiosità popolare è il modo con cui i contadini davano senso alla propria vita.

Tutte le fasi del lavoro dei contadini erano scandite dal suono delle campane e dalle preghiere quotidiane, come ci mostra il bellissimo dipinto "L’Angelus" di Jean-François Millet che ben rappresenta il mondo contadino. Nel film non mancano le scene ambientate in chiesa e lo spettatore intuisce facilmente il ruolo importante rivestito dal sacerdote, don Carlo.

La guida spirituale dei contadini

Il primo dialogo del film, dopo le suggestive immagini di apertura sulla campagna che fa da cornice alle storie, è proprio quello tra i genitori di Minek (Batistì e Batistìna) e il parroco don Carlo.

È quest’ultimo che, all’interno della sagrestia, accoglie i due poveri contadini e li convince a mandare il figlio a scuola, dal momento che ha un grande potenziale che altrimenti rischierebbe di restare inespresso. Soprattutto sul volto di Batistì leggiamo il timore di una simile scelta. Dopotutto, almeno nel loro piccolo mondo, non era mai accaduto che un figlio di contadini lasciasse il lavoro e la cascina per andare a fare un’altra attività, quella dello studio. Don Carlo cerca tuttavia di fugare i dubbi dei genitori, e al contempo i loro timori: «Se il Signore ha dato l’intelligenza a tuo figlio è segno che pretende più da lui che non dagli altri e tu che sei suo padre hai il dovere di assecondare la volontà del Signore».

Con queste parole don Carlo ammonisce Batistì. E così Minek comincia a frequentare la scuola. Il prete era quindi percepito come un’autorità in grado di indirizzare con sapienza il proprio gregge di fedeli. Si percepisce anche in un secondo episodio, quando il prete interviene per sistemare una situazione scomoda con la vedova Runk: rimasta appunto senza marito, la donna deve lavorare duramente come lavandaia per mantenere i sei figli.

Don Carlo un giorno la raggiunge mentre è occupata a lavare i panni per le persone del paese e poter così racimolare qualche spicciolo. Inizialmente la vedova Runk pensa che il prete venga a rimproverarla per non essere stata presente alle ultime celebrazioni della Santa Messa e si sente in dovere di giustificarsi, ma il parroco la rassicura: «il Signore capisce certe cose», dice, e le propone di mandare temporaneamente i due figli più piccoli in orfanotrofio affinché vengano accuditi e mantenuti dalle suore del convento. In questo caso, però, il consiglio del prete viene disatteso: a dire il vero, don Carlo non impone nulla alla vedova, a cui spetta la decisione ultima essendo la madre dei bambini.

Il miracolo

Ma il momento più religioso e intenso riguarda ancora una volta la vedova Runk. È la scena del miracolo, che coinvolge in particolare la vacca con la quale la famiglia della povera donna si procaccia un po’ di cibo. Un giorno nonno Anselmo (il padre della vedova) si accorge che l’animale non sta bene; viene allora chiamato il veterinario, la cui diagnosi è lapidaria: la mucca non ha ancora molto tempo da vivere, sarebbe meglio farla abbattere per venderne le carni e ricavarne qualche denaro.La vedova però non si perde d’animo e si reca immediatamente in una piccola chiesa campestre: entra, prega, esce, raccoglie l’acqua da una fonte lì vicina (e per questo ritenuta benedetta), invoca con ardore la grazia del Signore e, quando rientra in cascina, si dirige verso l’animale, a cui fa bere l’acqua raccolta. Dopo poco tempo, l’animale si rialza: sembra essersi compiuto un miracolo.

Per questa vicenda della vacca malata e poi guarita, Ermanno Olmi si attirò pesanti critiche, da parte di quegli stessi intellettuali che contestavano il suo modo di mettere in scena la vita contadina di fine Ottocento. Ma chi lo criticava sapeva che il regista si riferiva a una vicenda autobiografica?

Olmi rivelò infatti: «La guarigione della mucca è un episodio che è capitato a mia nonna, quando, dopo la prima guerra mondiale, rimase vedova con dei figli, e questa mucca in condizioni disperate la indusse ad andare nella chiesa di campagna, dove originariamente passava un fiumicello. Perciò l’acqua che passava sotto la chiesina era acqua benedetta, e lei ne prese un fiasco. Mi ricordo che mi disse: “Volevo assolutamente quella grazia. Il Padreterno non poteva abbandonarmi”». La fede di queste persone era talmente granitica che un tale atteggiamento nel far valere i propri “diritti” era doveroso, per la nonna di Olmi così come la vedova Runk nel film. 

Lorenzo dell'Onore

 

Didscalia foto: Il dipinto "L’Angelus" di Jean-François Millet

 
Ottobre 2018

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