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Quote rosa SI/Quote rosa NO

Quote rosa SI/Quote rosa NO

Partiamo dalle cifre: allo stato attuale, le donne militanti in politica occupano, in Italia, solo l’11% dei seggi alla Camera e l’8% al Senato, collocandosi agli ultimi posti nella classifica europea.

L’occupazione femminile in Italia è ferma al 46%. Le dirigenti donne sono calate del 10%, fanalino di coda in Europa. Il contributo femminile alla crescita del Prodotto Interno Lordo risulta attualmente pari al 22%, media tra le più basse in Europa nel settore dell’occupazione femminile.

Bastano queste cifre, semplicemente drammatiche, a indicare l’incredibile spreco di talenti femminili in Italia, e non solo in campo politico. Perfino Mario Draghi, nelle sue ultime considerazioni da governatore della Banca d’Italia, ha parlato apertamente della questione femminile che caratterizza, in modo paradigmatico, il nostro Paese. «La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore cruciale di debolezza del sistema» ha dichiarato Draghi, ricordando come le donne si laureino di più e meglio degli uomini, e da tempo non più solo nelle discipline umanistico-letterarie. Per non parlare delle immense, a volte insormontabili, difficoltà che le donne lavoratrici italiane devono affrontare, nel disperato tentativo di conciliare professione e famiglia.

Dunque, visto che nulla è destinato a cambiare davvero in Italia -secondo l’antica legge del “gattopardismo”- visto che certi stili comportamentali sono ormai ancestralmente radicati nella mentalità comune -si veda anche la recente campagna elettorale, in cui lo spazio destinato alle donne è risultato davvero esiguo- vista la pesante eredità che la politica di questi anni ci ha lasciato a proposito di una certa immagine della donna, perché allora tacciare di “sessismo” la teoria delle quote rosa?

Ben venga, almeno in fase iniziale, per sbloccare questa condizione così radicata, l’imposizione giuridica delle “quote rosa”, per sviluppare fra le donne e gli uomini di questo Paese una diversa sensibilità culturale, che possa nel tempo cambiare radicalmente la forma mentale dominante e consentire alle donne di legiferare, in prima persona, su questioni che condizionano profondamente la loro vita e le loro scelte in campo politico, sociale e professionale.

Maria Imparato

QuoterosaNO

Le donne non sono“uomini imperfetti”

Quando si parla di “quote rosa” o “doppia preferenza di genere”, l’idea che passa è quella di una categoria femminile formata da esseri deboli, che necessitano di tutela. E che, senza questa tutela, le donne non siano in grado di riuscire a scalare la vetta. La cosa peggiore è sentire che senza l’istituzione di percorsi paralleli, in cui correre protette, non possano raggiungere l’obiettivo prima o meglio degli uomini. Quindi, cestinando i facili idealismi del “siamo tutti uguali” -fatto in cui non credo e, come donna, rivendico il mio essere diversa dagli uomini- ritengo che oggi ci si accanisca per cercare di cambiare l’effetto manifesto di una cultura che ci trasciniamo da millenni. È sulla causa -ovvero la cultura- che bisogna agire trasformando l’idea di fondo che vede le donne come fossero uomini mancati -su questo, un ringraziamento va anche a Freud. Come? Magari iniziando a non far sentire ai bambini e alle bambine i discorsi che accomunano le donne al panda del WWF e che tanto circolano in questo periodo. Devono essere per prime le donne a rinnegare l’idea che il proprio diritto all’auto-realizzazione passi per la concessione di “oasi” a loro dedicate. E a chi storce il naso davanti a queste parole, pensando che la realtà sia ben lontana da questa “utopia”, ricordo che la prova concreta del potenziale in rosa si può vedere in numerosi settori.

Le donne non sono più relegate nel regno che passa dalla camera da letto alla cucina: sono medici, avvocati, giornalisti. E non mi pare proprio che ci siano delle quote rosa per queste professioni. Qualcuno dirà: “Ma in politica le donne sono mosche bianche”. Non nego che la percentuale sia nettamente inferiore rispetto a quella maschile, però la soluzione non manca: passa dalla modifica di una legge elettorale che impedisce all’elettore di indicare una preferenza per un candidato o una candidata. Cambiata quella, le “pari opportunità” saranno più che rispettate. Poi su quante saranno elette, la parola passa al popolo. Certo che se si continuano a inserire in lista la bellona di turno, la starlette, la presentatrice televisiva che di politica sa al massimo che si alza la mano a un cenno del capogruppo, allora spero proprio che le donne non votino le donne. Lo spero, perché conosco donne che invece meritano -e per fortuna, in alcuni casi, sono già presenti- di essere candidate, che non solo conoscono la politica, ma conoscono anche il mondo reale in cui incidono le scelte fatte nelle stanze del potere, che hanno passione e voglia di fare. Che non si riempiono solo la bocca invocando più diritti in rosa o piagnucolando per le opportunità da cui si sentono escluse in quanto donne. No. Ci sono donne forti, capaci, in gamba, che non si fanno strada armate di push up o, che forse è peggio, scimmiottando gli uomini.

Già, scimmiottando gli uomini. Perché talvolta, purtroppo, capita che quando una donna raggiunge una posizione “ai vertici” si trasformi nella brutta copia di un uomo. Come se i posti di comando fossero per natura destinati agli uomini e solo abbandonando le proprie specifiche peculiarità femminili si abbia il diritto di occupare la poltrona. Eppure anche questo è un retaggio culturale vecchio, che soffoca la vera ricchezza che nasce proprio dalla diversità tra uomini e donne. Come disse qualcuno “un pesco non può fiorire come un crisantemo”. E le donne non sono uomini a metà.

Alessandra Loche

 

Marzo 2013

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