La filiera agroalimentare: come siamo messi in Italia?
Molto spesso ci capita di sentir parlare di “filiera” e anche in questa rubrica il concetto è tornato più volte, implicitamente o esplicitamente.
Forse però non è mai stato veramente chiaro ai non addetti ai lavori, non pienamente compreso: di sicuro, non tutti conoscono i passaggi e gli attori che si celano dietro questa parola e che garantiscono, proprio con il loro lavoro, l’arrivo del cibo nei mercati, nei supermercati e sulle nostre tavole. Men che meno si conoscono i problemi legati alla filiera agroalimentare. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
Cosa si intende per filiera
Tanto per cominciare, per filiera agroalimentare si intende l’insieme dei passaggi che portano la materia prima dalla sua produzione e raccolta sino al consumatore finale. E qui entrano in gioco le prime distinzioni e i primi regolamenti.
Come disciplinato dal regolamento CE 852/2004 sull’igiene degli alimenti, per prodotti primari si intendono appunto i prodotti del settore primario, quindi quelli derivanti da agricoltura, allevamento, pesca e caccia.
I “prodotti non trasformati” sono quelli che non subiscono alcun trattamento (rientrano nella categoria le materie divise, disossate, frantumate, scuoiate, pulite, surgelate etc.), mentre fanno parte dei “prodotti trasformati” quegli alimenti ottenuti da particolari processi di trasformazione, come l’aggiunta di altri ingredienti necessari alla lavorazione dell’alimento o volti a conferirgli determinate proprietà (si pensi ai conservanti).
Si parla di “produzione primaria” quando si vogliono indicare tutte le fasi di produzione o allevamento di prodotti primari, tra cui raccolto, mungitura, produzione zootecnica precedente alla macellazione (comprese caccia, pesca e raccolta di prodotti selvatici), come indicato dal regolamento comunitario 178/2002.
Dalla produzione si arriva alla lavorazione del prodotto, alla sua commercializzazione, quindi alla distribuzione e al consumo finale. Si tratta di una lunga e laboriosa catena che coinvolge soprattutto i prodotti destinati alla lavorazione industriale.
Un problema italiano
«Fin qui tutto bene. Il problema è che in Italia purtroppo quello della filiera è un sistema squilibrato, che non funziona», lamenta Bortolo Ghislotti del Distretto Agricolo Bassa Bergamasca, «perché le inefficienze e le carenze del sistema ricadono sempre sugli anelli più deboli della catena, quindi i produttori».
Facciamo l’esempio dei produttori di latte: più volte abbiamo sentito parlare di allevatori messi in difficoltà perché pagati pochissimi centesimi al litro, senza la possibilità quindi di coprire le spese per il mantenimento dei bovini e dei macchinari per la mungitura.
«Nella filiera rientra una pluralità di soggetti poco coesi, poco collaborativi, poco efficienti, c’è forte asimmetria tra gli scambi. Per di più, in Italia non sappiamo promuovere come si deve i nostri buonissimi e numerosi prodotti d’eccellenza. In questo ci batte l’Olanda, che ha pochissimo da offrire rispetto a noi ma dove dal produttore a chi vende e commercializza c’è coordinamento, tutti gli attori della filiera sono coalizzati. È tempo che questo avvenga anche in Italia, dove le cose non funzionano e paghiamo per le inefficienze degli altri perché per troppo tempo ci siamo seduti sugli allori».
Quando il percorso si fa breve
Un tipo di filiera più breve, che permette di saltare determinati passaggi e che per molto tempo è stata presentata come una “moda” al pari del biologico, è la filiera corta.
Questa permette di acquistare prodotti a chilometro zero, direttamente dall’allevatore o dal coltivatore, che quindi si riappropria del suo ruolo all’interno del circuito. Al contempo, il consumatore rimane soddisfatto perché appaga la sua domanda di prodotti agroalimentari genuini. Rientrano nella filiera corta i mercati dei produttori, le cooperative di consumo e i gruppi di acquisto solidale (GAS).
È un meccanismo che funziona per risparmiare denaro (il risparmio è dovuto ai passaggi lavorativi e di trasporto che si evitano e che dunque non fanno lievitare il prezzo). Tramite la filiera corta si riconosce inoltre un prezzo più equo al produttore. Il punto è che non tutto può passare per la filiera corta, ci sono prodotti che necessitano di essere trasformati seguendo un processo industriale e poi si rende necessario un circuito per la distribuzione in Italia e nel mondo.
L’unica soluzione è rivedere completamente il concetto di filiera, o meglio gli attori che ne fanno parte, per insegnare loro che il gioco di squadra fa bene a tutti e, ancor di più, al mercato.