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Ferite a morte: tante tragedie diventano normalità

Ferite a morte: Tante tragedie diventano normalità

Il femminicidio non è un susseguirsi di fortuite sciagure. L’origine va cercata anche nei modelli delle nostre società.

«Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti», inizia così Ferite a morte, lo spettacolo teatrale scritto da Serena Dandini e raccolto, poi, in un volume con lo stesso titolo. Uno spettacolo nel quale grandi donne provenienti dal mondo dello spettacolo interpretano racconti immaginari postumi di donne ammazzate dal proprio marito, amante, padre o padrone: donne uccise dall’uomo che avrebbe dovuto amarle e proteggerle.

«Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti», il dubbio è reale e ruota tutto attorno alla predisposizione, ai segnali non colti e alle colpe; spesso si parla di tragedie, azioni sconsiderate compiute da individui insospettabili, persone per bene, gentili con tutti, che poi improvvisamente accoltellano la propria donna riducendo un corpo a brandelli. Uomini troppo innamorati che, presi da un attacco di gelosia, picchiano a sangue la propria compagna ammazzandola di botte, ex fidanzati che accecati dall’amore prima perseguitano e poi, dopo l’ennesimo rifiuto, perdono il senno e ammazzano la “senza-cuore” causa dei loro mali nei modi più atroci. Sembrerebbero persone malate, mostri, ma se così fosse, come si fa a non accorgersene? Le protagoniste dello spettacolo, come anche tutte noi donne, si arrovellano cercando il segnale, il momento in cui la maschera è caduta e la violenza è apparsa. «Non ce la facciamo a capire che sono proprio loro a farci questo, la violenza ha mille volti, ma come fai se ha quello del tuo amante? -dice una delle protagoniste-. Persone che un tempo apparivano meravigliose d’un tratto sono assassini, i nostri assassini».

I numeri della violenza

Sono stati 128 i casi di femminicidio in Italia nel 2013 e sono state ben 2.220 le donne assassinate tra il 2000 e il 2012: in media una donna ogni due giorni. E questo solo in Italia, un paese civile, democratico, un paese dove la parità dei sessi sembra essere stata raggiunta, “anche troppo”, si dice spesso scherzando. Questi dati però, non fanno ridere, non sono numeri da sdrammatizzare e non sono nemmeno da leggere come sfortunate tragedie, singoli casi che riguardano uomini psicolabili. Queste tragedie sono tante, troppe, al punto di diventare normalità, una normalità che però non è accettabile. Nel rapporto fra i due sessi, c’è sempre stato il problema dei ruoli e delle aspettative: ci hanno insegnato ad assecondare, sedurre, amare e prenderci cura dei nostri uomini, ci hanno spiegato che solo con loro potremo vivere per sempre felici e contente. Tutto questo può forse apparire limitante, ma il male non sta qui. Il problema forse è cosa a loro è stato insegnato. Come dev’essere un uomo secondo un uomo? E come dev’essere una donna? Se un uomo lo crede necessario può permettersi di prendere a calci una donna, può permettersi di “farsi prendere dai 5 minuti” e non rispondere più delle proprie azioni? Quando la donna viene percepita come un’appendice dell’uomo, un oggetto da possedere, una proprietà e non è rispettata prima di tutto in quanto essere umano, nessuno può fermare la violenza.

Analizzando i singoli casi non troveremo attimi d’ira senza movente, che a volte si riduce a un candeggio sbagliato. Sembra impossibile da accettare, ma per molti la normalità è che la donna è proprietà dell’uomo e l’uomo di conseguenza si arroga il diritto di agire come meglio crede su ciò che dovrebbe appartenergli. Per questo è così importante parlarne, non isolando i singoli casi ma al contrario accrescere la consapevolezza di quello che succede intorno a noi. Il progetto di Serena Dandini è arrivato fino alla sede Onu di New York ed è diventato anche un blog che raccoglie e diffonde informazioni, perché l’attenzione venga tenuta alta: «Dietro le persiane chiuse delle case italiane -afferma Serena Dandini- si nasconde una sofferenza silenziosa e l’omicidio è solo la punta dell’iceberg di un percorso di soprusi e dolore che risponde al nome di violenza domestica; per questo pensiamo che non bisogna smettere di parlarne»

Elisa Troiani

 

Marzo 2014

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