Il dibattito intorno all’artista Blu e ai murales strappati per la mostra di Bologna
Nelle ultime settimane si è acceso un originale dibattito sulla Street Art. La scintilla che ha fatto infiammare la polemica è stata la (re)azione del noto street artist Blu all’estrazione di alcune sue opere dai muri della città di Bologna: murales strappati alla strada per essere esposti in un museo cittadino, in occasione della mostra “Street Art: Banksy & co.”. In disaccordo con l’appropriazione delle sue opere da parte degli organizzatori dell’esposizione, l’artista ha deciso di far sparire sotto una colata di vernice grigia i suoi murales superstiti. Com’era prevedibile, nel giro di poche ore la notizia ha fatto il giro del mondo. Del resto nel panorama della Street Art sono pochi i nomi ascesi alla notorietà internazionale e Blu è tra questi (nel 2011 The Guardian lo ha inserito nella lista dei 10 migliori street artist in circolazione).
L’artista ha realizzato opere in moltissime città: New York, Buenos Aires, Londra, Vienna, Berlino, Praga e Barcellona, per citarne alcune, ma è proprio il capoluogo emiliano ad aver seguito la carriera di Blu fin dagli esordi. Qui l’artista ha iniziato a lasciare sui muri le tracce del suo passaggio fin dal 1999. Dunque, i muri di Bologna come un album di ricordi, conservavano la storia della sua carriera, documentavano oltre vent’anni di attività durante i quali da writer talentuoso e sconosciuto è diventato artista di fama mondiale.
Blu certamente sapeva che cancellando le sue opere non avrebbe colpito soltanto gli organizzatori della mostra ma anche la gente, i bolognesi, che amavano quei murales e ne andavano fieri. Tenendo conto di questi fatti, la decisione dell’artista appare ancora più estrema, ma necessaria.
L’unico modo per definire la sua opera e proteggerla è stato farla sparire e ridefinire la frontiera tra outsider art e musealizzazione. Blu, nelle sue opere, punta i riflettori sulle contraddizioni della società e che cosa c’è di più contraddittorio di un’esposizione di opere di Street Art prelevate direttamente dalla strada, finanziata dalla più grande fondazione bancaria cittadina?
In primo luogo la Street Art vive nel momento in cui ha un messaggio da trasmettere e parla ai passanti, alla città, al mondo. Gli street artist sono interlocutori ironicamente indisciplinati, mettono a nudo le ingiustizie della società, sono antagonisti della cultura ufficiale sia nei contenuti che nelle modalità d’azione (ricordiamo che realizzare graffiti è illegale e, se un artista viene sorpreso mentre è all’opera, deve pagare multe salatissime).
I murales non sono destinati alla contemplazione e il loro valore estetico è accessorio: con il passare del tempo sono destinati a rovinarsi, subire le intemperie, invecchiare, sgretolarsi insieme ai muri perché hanno senso solo nel nostro tempo e nelle nostre strade. Sottrarre alla strada questo tipo di opere disinnesca la loro carica ironica e dissacratoria; accumularle in uno spazio espositivo e far pagare un biglietto per vederle significa considerarle solo mere raffigurazioni.
Dunque alla domanda “Di chi è la Street Art?” si potrebbe rispondere che appartiene al contesto stesso: all’artista che l’ha concepita e realizzata, ai muri che fanno da supporto, alle contraddizioni del nostro tempo, alla storia della città, a ogni passante che guardandola ha sorriso, si è stupito, arrabbiato, ha riso sotto i baffi e, osservando quell’opera, si è fermato a riflettere.
In questo senso la scelta di Blu è estremamente coerente e si pone in linea con ciò che l’artista ha sempre fatto: il muro grigio comunica quanto un murales e pone una pietra miliare nella sua denuncia delle contraddizioni.
Livia Salvi