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Conversione ecologica, infinito presente

Editoriale

Cop 28, folgorati sulla via di Dubai

Mentre scrivo questo ultimo editoriale del 2023, è ancora in corso la Cop 28, l’ormai tradizionale conferenza annuale dell’Onu sul clima, che dibatte e reitera all’infinto la problematica più pressante del presente, la crisi climatica e la necessità della transizione ecologica.

Difficile in proposito parlare di conversione ecologica, se non nell’accezione della folgorazione di San Paolo, a richiamare un’eventualità più miracolosa che realistica. Ma al momento la via di Damasco sembra non si incroci con quella di Dubai, vicine nello spazio mediorientale ma non nel tempo di questo sfuggente presente, come rette parallele che s’incontreranno solamente all’infinito, Dio ce ne scampi. Resta solo da sperare che i principi della geometria euclidea e quelli della geopolitica energetica non corrispondano, se non per vaga assonanza.

Qualche scossone ad alcuni assiomi annunciati, deludenti per alcuni e positivi per altri, in effetti si è già verificato: discutibile l’iniziale scelta degli Emirati Arabi come sede di un summit che dovrebbe decidere una riduzione delle fonti fossili e discutibile soprattutto l’incarico della presidenza ad Al Jaber, a capo di una delle compagnie petrolifere più grandi al mondo; positiva invece la sorpresa, ad avvio del vertice, dell’accordo sul nuovo fondo sulle perdite e danni causati dalla crisi del clima, soprattutto nei confronti dei paesi poveri. Sorpresa però presto ridimensionata dall’esiguità dei finanziamenti effettivamente messi a disposizione.

Su tutto l’ombra, nemmeno tanto celata, che molti governi non condividono affatto l’obiettivo dell’eliminazione degli idrocarburi dall’economia e neppure l’opzione di una loro drastica riduzione. Se si aggiunge che mai come quest’anno si registra una numerosa presenza al vertice (alcune migliaia) di lobbisti delle fonti fossili, si potrebbe già sentenziare il sostanziale fallimento della Conferenza delle parti.

Eppure proprio nelle terre del petrolio e degli enormi interessi dell’economia estrattiva, dopo tanti anni di summit, di proclami, buone intenzioni e obiettivi ambiziosi che si scontrano poi con la scarsità dei fatti e della mancanza di risultati, forse vale la pena di riconsiderare l’approccio con cui provare a convertire il sistema economico globale alla transizione ecologica ed energetica. Se le aspirazioni di attivisti, scienziati, cittadini e di alcuni (pochi) governanti non riescono in ogni caso ad andare alla velocità minima desiderata, allora meglio comprenderne i veri motivi e confrontarsi apertamente con chi oppone resistenza a questi cambiamenti: esiste una gigantesca fetta di potere economico capace di far pesare tutta la propria influenza sulla politica mondiale, capace addirittura di prescindere dalla politica stessa e dalle decisioni del Summit, per indirizzare il sistema economico verso i propri interessi.

E allora tanto vale toccare con mano la complessità di una transizione, trovare il modo con cui spronare - certamente - ma anche convincere e conciliare le varie posizioni in campo (che tanto ci sono) in modo da rendere praticabile e soprattutto effettiva una modifica dell’attuale status quo, verso un’economia più allineata con la sostenibilità del pianeta. È un necessario bagno di realtà che gli aspiranti al cambiamento devono fare, se non vogliono rimanere tali. Tanto più che chi spinge verso il cambiamento è solo quella parte di mondo che ha già raggiunto un grado di benessere, a cui difficilmente sarebbe disposto a rinunciare. La conversione ecologica del sistema è giocoforza un processo lungo e complesso, ancora tutto da intraprendere, non esistono facili scorciatoie. Accelerazioni o folgorazioni non si escludono, ma non succederanno se nel frattempo non ci saremo messi concretamente in cammino, fosse pure sulla via di Dubai.

Diego Moratti

Dicembre 2023

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