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Vietato rifiutarsi

Vietato rifiutarsi

Tra i rifiuti più significativi e scandalosi che il genere umano produce, ce n’è uno in particolare che stride per la sua contraddizione non solo economica, non solo ambientale, quanto terribilmente etica: lo spreco alimentare.

Le tonnellate di cibo che divengono spreco alimentare nei soli Paesi ricchi ammontano a 1,3 miliardi l’anno; praticamente un terzo del cibo prodotto viene buttato ogni giorno nelle nostre pattumiere. Di contro una persona su nove al mondo non ha abbastanza cibo per sopravvivere, mentre molto maggiori sono i numeri della malnutrizione. Ribadiamo il paradosso: nei Paesi ricchi un terzo del cibo prodotto viene buttato ogni giorno nelle pattumiere.

Potrebbe chiudersi qui l’argomentazione di questo appello imperativo che non consente a nessuno di astenersi o chiamarsi fuori dal problema, tuttavia in aggiunta alla considerazione di carattere umanitario, sul conto dello spreco alimentare si somma la gravità delle valutazioni ambientali: il cibo che ogni anno viene buttato sfrutta 1,4 miliardi di ettari di suolo, il 30% della superficie agricola mondiale, e produce 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra.

Oltre al danno umano, la beffa ambientale: consumiamo risorse naturali preziose che non vanno nemmeno a chi ne avrebbe più bisogno e per di più dobbiamo consumare altre risorse per smaltire lo spreco prodotto dai nostri rifiuti e dal nostro inquinamento.

Questi dati e questi concetti li abbiamo sentiti per un anno intero quale tematica forte di Expo 2015, con proposte e soluzioni finalmente approdate sul palcoscenico universale, ma quanti insegnamenti siamo riusciti a portare a casa dalla visita ai padiglioni milanesi? Quanti stimoli siamo riusciti a mettere in pratica nei nostri atteggiamenti e abitudini quotidiane?

In realtà, per quanto angosciante sia la realtà dello spreco alimentare, questo aspetto è solo una parte di un problema più generale. Siamo immersi da rifiuti di ogni tipo, con la necessità di trovare cestini e bidoni in ogni angolo delle strade, in ogni ufficio, stanza o negozio. Abbiamo sempre qualcosa da buttare.

Compaiono discariche sempre più grandi e sempre più organizzate, che crescono in numero e dimensioni in ogni città. Senza contare quanto spreco di risorse sta dietro a una sempre crescente attività di smaltimento dei rifiuti, a cominciare dal mantenimento della pulizia di strade o dal semplice svuotamento dei cestini dell’immondizia.

E questo nella migliore delle ipotesi, cioè quando i rifiuti non vengono gettati direttamente o abusivamente a deturpare ambiente, campi, boschi, fiumi, mari, impattando natura, suolo e sottosuolo, dalle persone come dalle imprese.

La società dei consumi di massa, gemella della società delle produzioni di massa, sembra non aver calcolato una terza sorella, apparentemente minore, ma in realtà gemella anch’essa delle prime due, a cui è direttamente collegata: la società dei rifiuti di massa.

Molta parte del nostro sistema economico, politico e amministrativo deve purtroppo “sprecare” importanti risorse per occuparsi della gestione di questo problema: nelle nostre città, una delle preoccupazioni maggiori del presente come del futuro, pare quella di trovare il modo di sbarazzarsi del quantitativo sempre maggiore di rifiuti, incarti, imballaggi, avanzi di cibo, scarti, emissioni inquinanti di processi industriali o semplicemente di trovare il modo di distruggere prodotti già utilizzati che hanno esaurito la loro funzione (che nella società dei consumi diventano automaticamente rifiuti).

Il problema però è da prendere in un altro verso, o meglio è proprio da ribaltare: è il paradigma da cambiare, è il modello sottostante che deve essere “aggiornato”, soprattutto come nostra concezione di fondo.

Abbiamo sempre pensato al processo produttivo come lineare, con materie prime in entrata, da estrarre dalla Terra, che dopo essere lavorate e trasformate diventano beni, servizi, prodotti e poi rifiuti. In realtà l’economia, come il mondo e la natura, è un sistema circolare: i prodotti/rifiuti non spariscono nel nulla e se non vengono ridotti, riutilizzati e riciclati, impatteranno e inquineranno sempre più l’ambiente, che “naturalmente” non riuscirà a rigenerare ulteriori materie prime necessarie per alimentare il ciclo produttivo.

Questo modello si chiama Economia circolare e cercheremo di definirlo meglio nelle prossime pagine e soprattutto il 27 maggio al nostro convegno durante il Festival dell’Ambiente di Bergamo. Più che un modello economico però l’economia circolare deve divenire una forma mentis, perché la realtà è già un sistema circolare e ciascuno è naturalmente coinvolto: sta a noi riprenderne consapevolezza e riadattare le nostre società a ciò che la natura ci insegna.

Benvenuti nell’economia circolare: vietato rifiutarsi.

Diego Moratti

Maggio 2016

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