Risparmio, aria aperta, cibo sano e autoproduzione - Nel post pandemia è boom degli orti urbani
Nel post pandemia è boom degli orti urbani: Più orto, meno stress. Ma anche cibo più buono, esercizio fisico e gusto di stare all'aria aperta. Se c'è una cosa che la pandemia ci ha insegnato, è che stare all'aperto fa bene, migliora l'umore, combatte ansia e depressione e contribuisce ad avvicinare a stili di vita più sani e sostenibili, compatibili con le sfide ambientali che ci aspettano nel futuro. E se già quindi prima del Covid, per sempre più italiani il trend di avvicinamento all'orticultura stava crescendo, da un anno a questa parte con i continui lockdown e l'impossibilità di viaggiare altrove le persone hanno riscoperto il gusto di coltivare da sé i propri ortaggi. Largo dunque a orti sociali, orti urbani, orti sul balcone ed esperienze di agricoltura collettiva: il futuro, per gli italiani, parla la lingua della verdura fresca. Anche per chi abita in città.
Verso città autosufficienti?
A confermare il potenziale degli orti urbani su ampia scala era già stata nel 2020 una ricerca inglese, “The hidden potential of hurban horticulture”, condotta dall'Insitute for Sustainable Food dell'università di Sheffield e pubblicata su Nature Food. Secondo lo studio, infatti, la dimensione degli orti urbani potrebbe diventare una risorsa di autosufficienza alimentare per le città. Prendendo a modello la città inglese di Sheffield (circa 582mila abitanti) e mappandone l'intero territorio comunale per identificare gli spazi verdi disponibili per la coltivazione di ortaggi e frutta, si è scoperto che il 45% della superficie comunale (di cui 38% giardini privati) potrebbe essere adeguata per la produzione orticola: se quindi tutte queste aree fossero coltivate a orti – hanno ipotizzato i ricercatori – si potrebbe produrre frutta e verdura sufficiente a nutrire, con cinque porzioni al giorno, più di 700mila persone. Questo in una proiezione estrema. In uno scenario più realistico, ipotizzando di coltivare il 10% degli spazi verdi comunali e il 10% dei giardini privati in aggiunta agli orti già attivi, si potrebbe soddisfare il 15% del fabbisogno locale.
Orti in Italia: un trend in crescita
Le proiezioni Coldiretti su dati Istat del 2017 raccontano di un'Italia che già pre-Covid si stava volgendo all'autoproduzione agricola, soprattutto nelle città: gli appezzamenti urbani coprivano infatti 3,3 milioni di metri quadri, il 50% dei quali nei capoluoghi di provincia. Tre anni fa erano 75 le città italiane che avevano avviato esperienze di orti urbani (nel 2015, erano 57), con un'estensione aumentata del 51% in 5 anni. Un innamoramento in crescita, quello degli italiani per l'orto, che non ha subito battuta d'arresto nemmeno con la pandemia. Tutt'altro. Secondo un'indagine 2020 realizzata da Coldiretti / Ixè, infatti, circa 4 italiani su 10 (pari al 44%) coltivano oggi i propri ortaggi in giardini, terrazzi o orti urbani: una scelta dettata sia da motivazioni pratiche, connesse all'incertezza economica generata dalla crisi pandemica da Covid-19, sia dal gusto di trascorrere più tempo all'aria aperta, dopo le varie misure restrittive messe in campo per contenere i contagi. Il fenomeno ricalca in parte quello degli “orti di guerra”, diffusi nelle città italiane, europee e americane durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la conversione delle aree urbane incolte in aree coltivate aiutò l'approvvigionamento di generi alimentari: celebre a tal riguardo è l'esempio dei “victory gardens” nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che nel 1945 sopperirono per il 10% alle richieste alimentari nazionali. Oggi la situazione è assolutamente diversa, ma il principio è simile: dinanzi a una crisi – in questo caso economica e sanitaria – la produzione orticola personale cessa di essere un hobby per pensionati con la passione per il giardinaggio e diventa un'occasione di socialità, di salute e di risparmio. Da un lato c'è così chi converte il verde privato (giardini e balconi) in aree per la produzione “fai da te” di insalate, fragole, erbe aromatiche, zucchine e legumi. Dall'altro, ci sono gli italiani che hanno a disposizione terreni ben più grandi - soprattutto famiglie che hanno ereditato aziende o appezzamenti e che si stanno riconvertendo alla vita agricola– o che comprano in zone svantaggiate per avviare da zero una produzione naturale e a chilometro zero. Infine c'è chi nella dimensione ortolana cerca sia cibo di prossimità, sia nuove formule di socialità: ecco allora il boom degli orti urbani messi a disposizione dagli enti locali da nord a sud Italia, trend quest'ultimo che ha registrato una crescita del 18,5% in due anni per un totale di oltre 2,1 milioni di metri quadri cittadini dedicati all'orticultura. In questo caso, ogni amministrazione comunale applica parametri e sistemi diversi per la concessione degli orti pubblici.
E a Bergamo?
Da sempre attenta alle questioni legate alla sostenibilità, la città di Bergamo e il suo territorio provinciale vantavano una buona rete di orti urbani e sociali già da prima della pandemia di Covid-19. A testimonianza dell'interesse verso la questione e della consapevolezza sull'importanza strategica, sociale e culturale, di questa attività, nel novembre 2020 il Comune aveva pubblicato il nuovo bando per l'assegnazione di 27 nuovi orti urbani (7 nel quartiere di Valtesse, 6 a Villaggio degli Sposi e 14 a Celadina), sulla base di un nuovo regolamento per l'assegnazione che dava la precedenza in fase di graduatoria a giovani aspiranti ortolani e famiglie in situazione di difficoltà economica. Oggi in città sono presenti circa 200 orti di diverso tipo, tra orti urbani (assegnati cioè a singoli cittadini), orti didattici (dedicati alle scuole tramite apposita convenzione) e orti collettivi, gestiti cioè da associazioni senza scopo di lucro.Tra questi c'è ad esempio Ortinsèma Astino, orto biologico condiviso nella bella valle di Astino: gestito dall'aps Ortinsèma, l'orto sociale raggruppa all'incirca 30 membri, tra giovani e meno giovani, e punta alla sensibilizzazione non solo delle pratiche agricole permacolturali e naturali, ma anche della socialità e della condivisione. «L'orto sociale è un luogo dove poter trascorrere del tempo in mezzo alla natura, sperimentando la coltivazione di verdura in modo naturale», spiega Simona Erba, presidente dell'associazione. «Vederla crescere, curarla e cucinarla con le proprie mani è un'esperienza affascinante.
Ma, oltre ai legami con la terra, ancora più importanti sono i legami che si creano tra le persone che ne fanno parte, amici veri e persone sensibili, amanti dell'ambiente, con cui poter condividere tempo insieme, confrontandoci e imparando. Ognuno di noi per stare meglio ha bisogno di avvicinarsi di più alla terra, imparando a vivere più lentamente e a godersi il momento presente».
Erica Balduzzi