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Proposta di legge sull’Economia Sociale e Solidale. Andrea Di Stefano: occasione per dare voce al nostro mondo

 Andrea Di Stefano

Presentazione e raccolta firme alla Fiera “Fa’ la cosa giusta!” a Milano (8-10 marzo). L’economista: elaborare criteri per valutare un sistema economico sulla base delle ricadute sociali, ambientali e territoriali. Necessario il riconoscimento e il dialogo con le istituzioni

Mentre si avvicina il lancio della campagna di raccolta firme per chiedere l'approvazione della legge regionale di iniziativa popolare in materia di Economia Sociale e Solidale (ESS) – lancio previsto per i primi di marzo presso la fiera “Fa' la cosa giusta!” a Milano - il dibattito si intensifica e si compatta.
Ci si confronta sulle ultime bozze di legge, si ragiona sulle potenzialità e criticità del settore, sulle prospettive future e – dibattito nel dibattito – ci si interroga sui confini dell’economia sociale e solidale e sugli ambiti e settori da coinvolgere. L'economia sociale e solidale potrebbe essere un catalizzatore di buone prassi diffuse, anche tra i settori economici “tradizionali”? Oppure è maggiore il rischio di essere “infiltrati” da elementi che nulla hanno a che fare con l’economia solidale? E ancora, cosa ci si può legittimamente attendere da una proposta di legge di iniziativa popolare? Ne abbiamo parlato con Andrea Di Stefano, direttore della rivista Valori e tra i massimi esperti di finanza etica.
Andrea Di Stefano, ormai ci siamo: la bozza della proposta di legge regionale a tutela dell'economia sociale e solidale è quasi ultimata. Quali sono secondo lei i prossimi passi principali per proseguire proficuamente in questo percorso?

Il primo passo da compiere è il deposito ufficiale presso Regione Lombardia del testo ultimato e la verifica delle ultime osservazioni del servizio legislativo. Dopodiché si potrà procedere con la fase di raccolta firme, che verrà lanciata ufficialmente ed emblematicamente nel corso della fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fa' la cosa giusta!” di Milano, dall'8 al 10 marzo 2019. Dalla data di lancio della campagna, ci sono 180 giorni per raccogliere almeno 5 mila firme, necessarie per presentare la proposta di legge all'ufficio di Presidenza del Consiglio regionale e alla commissione competente per la sua valutazione.

La fiera “Fa la cosa giusta!” a Milano è dunque non solo una prima tappa importante del percorso di raccolta firme, ma anche un appuntamento simbolico dell’economia sociale e solidale a cui fa riferimento la legge.

“Fa’ la cosa giusta!” sarà un’ottima occasione per intercettare i sottoscrittori, ma la scelta di aprire la campagna di raccolta firme in quella sede ha un valore che va oltre, riconoscendo il ruolo della fiera come riferimento per tutto quel mondo che sta alla base della proposta di legge. Per questo motivo ancora più importante sarà, in quell'occasione, interloquire con i referenti territoriali dell'economia solidale e sociale, per stimolare sinergie e un sostegno localmente diffuso attorno alla proposta di legge.

Questo dialogo dovrà servire inoltre a mettere in azione e identificare le rappresentanze e declinazioni territoriali, che nella legge avranno un ruolo cruciale di riferimento per il territorio e per la crescita dell’Economia Sociale e Solidale.

Secondo lei cosa è necessario fare affinché l'economia solidale e sociale cresca e diventi sempre più diffusa nel concreto?
Occorre innanzitutto organizzarsi, darsi un’identità e una modalità di rappresentanza, riconosciuta anche dalle istituzioni: Organizzarsi per contare di più. Una volta dotati di un’organizzazione ufficiale e riconoscibile, fondamentale è l’attivazione di una corsia preferenziale nel rapporto con la pubblica amministrazione: a parità di modello e a parità di impresa, chi fa parte dell'economia sociale e solidale, soprattutto nella relazione con la pubblica amministrazione, dovrebbe poter avere un punteggio premiale rispetto ai soggetti economici tradizionali. È un elemento basilare, perché in questo modo il denaro pubblico verrebbe reindirizzato a soggetti economici capaci di produrre ricchezza territoriale e sociale. La spesa o meglio l'investimento pubblico sarebbe più efficace sotto tutti i fronti. Non sarebbe neppure una grande rivoluzione, per la verità: in Francia già da tempo viene attuato un meccanismo premiale per chi ha certificazioni di sostenibilità, rispetto invece a chi ne è sprovvisto.

Spesso nell'opinione pubblica è facile accostare l'economia sociale e solidale con la green economy. Pensa che tali settori possano essere accomunabili?

Non possiamo considerare tutto il mondo della green economy inscritto di default all'economia sociale e solidale, principalmente perché presenta al suo interno filosofie economiche fortemente “estrattive” in termini di redditività, che pur essendo meritoriamente ispirate ad esempio al minore impatto ambientale, non necessariamente hanno una ricaduta sociale e territoriale. Un esempio su tutti? I grandi parchi fotovoltaici a terra sui terreni agricoli, che rappresentano in pieno la green economy ma non hanno nulla a che vedere con l'economia solidale, in quanto non producono ricchezza sociale o coesione territoriale. Diverso è invece il caso delle reti di condivisione di energia autoprodotta: si tratta di un modello di base totalmente diverso.

Questo discorso apre il campo a un’annosa questione: qual è il perimetro della Economia Sociale e Solidale?

La questione inerente il perimetro dell'economia solidale e sociale è cruciale nel dibattito, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello finanziario.
Ormai la domanda di sostenibilità in senso lato è talmente forte che potrebbe - o addirittura dovrebbe - portare a una coincidenza tra economia solidale e finanza etica. L’auspicio è che si venga a creare un sistema integrato in cui finanza ed economia si rafforzino a vicenda, ispirate a nuovi criteri rispetto a quelli che le hanno guidate nell'ultimo mezzo secolo.

Ma come fare selezione tra le attività e le imprese? Quali includere e sostenere nell’ambito di un’Economia Sociale e Solidale?

Si tratta di rafforzare un sistema in cui non conti esclusivamente il risultato economico in senso stretto, ma anche la ricaduta delle attività economiche e finanziarie in termini di coesione sociale, territoriale e ambientale, dando valore a quelle attività che si muovono in questa direzione.
Sono aspetti che in realtà vanno a convergere in modo molto forte: oggi si va affermando con sempre maggiore urgenza la richiesta di informazioni sull'impatto ambientale di un'attività, e, seppur in misura minore, anche sulla sua capacità di produrre ricchezza sociale.
Il problema è che sono dati difficili da indagare, in quanto tutti gli strumenti di analisi economica e statistica sono legati a parametri tradizionali: numero di occupati, valore aggiunto, produttività, eventuali esportazioni, etc...

E allora come pensa che si possano reperire o quantificare queste “nuove” informazioni?

Una chiave di lettura che si è fatta strada negli ultimi anni è quella di rileggere le attività economiche in base ai Sustainable Development Goals (SDGs) delle Nazioni Unite. È ovviamente una valutazione positiva, ma credo che, in un'operazione del genere, sia piuttosto alto il rischio di prestare il fianco al marketing, se non proprio a fenomeni di green washing [costruzione di un'immagine di sé ingannevole sotto il profilo dell'impatto ambientale per circuire l'opinione pubblica, nda]. Si rischia pertanto di strumentalizzare una tematica importante come quelli degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu.

Credo invece che da qui in avanti avrà sempre maggiore importanza una valutazione dell'impatto ambientale in termini di impronta ecologica delle attività, che diventerà un parametro fondamentale per valutare sia gli investimenti da attuare in termini di credito e finanza, sia la prestazione economica. Il valore aggiunto di questo movimento dell'economia sociale e solidale può quindi essere la capacità di farsi pioniere rispetto a questa impostazione, diventando un punto di riferimento anche per il settore for profit, per intuire e interpretare le linee di tendenza e gli elementi che in prospettiva possono creare una vera competitività, sia per quanto riguarda l'attività economica in senso stretto che lo sviluppo complessivo dei territori e delle persone che vi abitano.

Questo mette in luce una delle questioni più complicate della legge, cioè le modalità con cui valutare le imprese. Nella bozza si ipotizza di identificare, come uno tra i criteri per valutare un’impresa, quello di avere almeno il 50% del fatturato riconducibile ad attività di Economia Sociale e Solidale. Qual è il suo punto di vista rispetto a questo parametro?

Ritengo che questo parametro possa essere considerato un buon compromesso “temporaneo”. Richiedere e valutare una parte di fatturato in base ai criteri dell'economia solidale e sociale è uno strumento utile per evitare di lasciare un perimetro totalmente indefinito, impedendo così a soggetti economici di dubbia appartenenza di approfittarne per ottenere facilitazioni, cercando però in un primo momento di essere inclusivi e aperti verso le imprese tradizionali. Tuttavia, penso che andando avanti sarebbe utile sostituire il criterio del fatturato con un vero e proprio “indice di impatto ambientale e sociale”, una sorta di ecological and social footprint ancora da elaborare, che valuti per esempio il fattore sociale in base alla stabilità occupazionale, alla capacità di creare nuove opportunità di lavoro e al numero di soggetti coinvolti nel processo economico e così via. L'elaborazione di questo indice può essere messa in capo al comitato scientifico previsto dalla legge stessa, quale organismo di garanzia che stabilisca i criteri da applicare e in definitiva l’identità di questo mondo.

In generale ritiene che l'economia sociale e solidale debba essere più inclusiva o che debba invece darsi una definizione maggiormente identitaria?

Io sono per l'apertura. In una fase di grande instabilità complessiva rispetto agli attuali modelli sociali ed economici, la logica del dialogo con il sistema economico tradizionale e con istituzioni e soggetti anche distanti dalla concezione dell'economia solidale e sociale è positiva. È un modo per contaminare altri campi e altri settori e permette di dimostrare che questa economia non è un'opzione di nicchia o di testimonianza, ma può essere al contrario una scelta con ricadute complessive positive. E questo lo dimostrano i fatti: molti soggetti che hanno scelto volontariamente questo sistema sono caratterizzati oggi da una maggiore longevità e stabilità dell'attività economica, sono più resilienti rispetto alla crisi e garantiscono maggiore coesione territoriale.

Se non solo le persone, ma anche le istituzioni e le stesse imprese, capissero il maggiore valore di un sistema siffatto e il contestuale vantaggio competitivo per le stesse aziende, allora avremmo già raggiunto un obiettivo fondamentale di tutto questo percorso.

Diego Moratti e Erica Balduzzi

Approfondimento in collaborazione con Bio Distretto dell'Agricoltura Sociale di Bergamo

 

Un po' di dati...

Consumo responsabile > Secondo il sondaggio “Il consumo responsabile in Italia – rapporto 2018”, redatto dall'O.C.I.S. (osservatorio internazionale per la coesione e l'inclusione sociale), il consumo critico nel nostro Paese è pratica sempre più diffusa: nel periodo compreso tra febbraio 2017 e marzo 2018, solo il 36,6% del campione intervistato ha affermato di non aver adottato alcuna pratica di consumo responsabile, mentre il restante 63,4% si è avvicinata al consumo critico (30,3%), al commercio equo e solidale (37,3%), a pratiche di sobrietà (51,7%), al turismo responsabile (7,5%) e ai GAS (10,6%).

Commercio equo e solidale > Secondo la ricerca di Altreconomia, commissionata dall'assessorato alla sviluppo economico di Regione Lombardia, il commercio equo e solidale è praticato da 80 realtà, con 139 punti di vendita totali. La provincia di Milano è in testa per quanto riguarda il numero sia di organizzazioni del fair trade, sia di punti vendita specifici. A seguire, le province di Brescia e Como. La ricerca stima inoltre che il fatturato complessivo delle organizzazioni censite tocca i 16,1 milioni di euro, con una certa variabilità delle dimensioni economiche.

Cooperazione > Il rapporto Istat “Struttura e performance delle cooperative italiane – anno 2015”, pubblicato nel gennaio 2019, evidenzia come la Lombardia abbia una presenza rilevante per quanto riguarda la cooperazione, soprattutto se si considerano le cooperative sociali: nel 2015, oltre il 50% delle cooperative si raggruppava in sole 5 regioni, con Lazio e Lombardia in testa (con una quota pari al 14%). Una concentrazione non legata soltanto alla densità demografica o imprenditoriale ma a specifiche vocazioni territoriali. Il settore in Lombardia è cresciuto anche per numero di addetti, aumentati di 12mila unità. 

 

Per maggiori approfondimenti in merito all'Economia Sociale e Solidale: http://www.infosostenibile.it/notizia/economia-solidale-e-sociale-verso-...

Febbraio 2019

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