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Piccole e grandi storie di resilienza verde per arginare la crisi forestale

Piccole e grandi storie di resilienza verde per arginare la crisi forestale

Muraglie Verdi, start-up, impegno personale: nel mondo si moltiplicano le esperienze di chi fa della piantumazione una missione. 

“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”. Così recita un adagio popolare che oggi - a fronte delle continue notizie sulle migliaia di ettari di foresta che nel mondo vengono bruciate, abbattute e distrutte - vale forse la pena di rispolverare. 

Perché, se da un lato la situazione attuale dei polmoni verdi del pianeta è senza ombra di dubbio drammatica, dall'altro è altrettanto vero che nel mondo non mancano anche le esperienze positive, piccole e grandi storie di lotta e di resistenza, di utopia e di resilienza che, passo dopo passo e seme dopo seme, offrono reali possibilità di cambiamento. E fanno da argine concreto (e silenzioso) per provare a salvare la terra dal disastro. 

La Grande Muraglia Verde 

Uno dei progetti più ambiziosi in questo senso è la Grande Muraglia Verde, la cintura arborea che andrà dal Senegal al Gibuti percorrendo per 8 mila chilometri tutto il Sahel, con l'ambizione di ridare vita alle terre desertificate dell'Africa e rimettere in moto un'economia capace di garantire la sussistenza e lo sviluppo delle popolazioni locali. 

In che modo? Piantando una fascia larga 15 chilometri di alberi di 37 specie diverse, locali e ben adattate al clima, in un vero e proprio muro ecologico che attraverserà 8 Paesi e che permetterà di ridurre l'erosione del suolo, favorirà l'assorbimento dell'acqua piovana, impedirà l'avanzamento del deserto e renderà le terre più ricche e fertili, con importanti ricadute su agricoltura e pastorizia. 

La regione interessata è infatti particolarmente fragile: secondo l'Onu, il 46% delle terre dell'area sono degradate (cioè aride o semi-aride a causa di fattori quali la pressione sugli ecosistemi, il disboscamento e le alterazioni climatiche), 20 milioni di persone del Corno d'Africa nel 2017 sono state dichiarate a rischio di crisi alimentare e le prospettive demografiche parlano di una crescita dai 100 milioni di abitanti attuali ai 340 milioni entro il 2050. In quest'ottica, l'iniziale progetto della Muraglia Verde - avviato nel 2011 da una strategia elaborata dall'Unione Africana con investimento iniziale pari a 1,75 milioni di euro, e che ha visto poi l'aggregazione anche della Banca Mondiale e del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente - si è poi evoluto verso un mosaico di interventi di sviluppo rurale, per aiutare le popolazioni locali ad adattarsi alle alterazioni climatiche. 

A distanza di quasi dieci anni, in Senegal sono stati piantati 12 milioni di alberi, nei 5 milioni di ettari di terra recuperati in Niger vengono prodotte ogni anno 500 mila tonnellate di cereali e in Etiopia sono state recuperati 15 milioni di ettari di terra. Il programma della Grande Muraglia Verde dovrebbe concludersi entro il 2030, con il recupero totale di 100 milioni di ettari di suolo e la creazione di milioni di nuovi posti di lavoro in ambito agricolo.

Riforestare il mondo dal basso 

L'idea di creare un muro verde per contrastare deforestazione e desertificazione non è nuova. Al contrario, affonda le radici in un'altra esperienza, l'organizzazione non governativa “Green Belt Movement”, nata sempre in Africa nel 1977 a cura dell'attivista, premio Nobel per la Pace 2004 e biologa kenyota Wangari Muta Maathi. Con la Green Belt, la Maathi coinvolgeva donne provenienti da contesti rurali e le aiutava a piantare alberi da frutto e piccoli arbusti locali, in un'azione duplice di ambientalismo attivo e di potenziamento delle reti rurali femminili.

A partire dalla sua fondazione, l'organizzazione ha piantato e favorito la crescita di oltre 45 milioni di alberi ed è stata di ispirazione al movimento “Plant for the Planet”, progetto nato nel 2007 a cura del giovanissimo attivista tedesco Felix Finkbeiner, che all'epoca aveva solo 9 anni. Conosciuto oggi in tutto il mondo come “il bambino degli alberi”, Finkbeiner ha piantato il seme della sua idea in un tema delle elementari. Un'idea semplice, dopotutto: piantumare un milione di nuovi alberi. Con il supporto della scuola e grazie a un'inaspettata e crescente adesione a “effetto valanga”, è nata così Plant for the Planet.

Come lo stesso Finkbeiner ha spiegato in un'intervista al Corriere della Sera, dopo un anno dall'apertura del sito solo in Germania erano stati già piantati 150 mila alberi. Il milionesimo albero è stato piantato nel 2011; oggi, l'organizzazione ha piantato più di 15 miliardi di nuovi alberi in tutto il mondo e Felix Finkerbeiner è considerato un Change Maker, cioè una persona in grado di generare cambiamento attraverso buone prassi orientate alla sostenibilità ambientale e sociale. 

Ma le storie sono numerose

C'è il notissimo fotografo brasiliano Sebastiao Salgado, che con la moglie Lélia Deluiz Wanick ha riforestato in vent'anni 600 ettari della foresta tropicale ad Aimores, a nord di Rio de Janeiro. Ma c'è anche Yi Jeifeng di Shangai, che ha iniziato a piantare alberi contro la deforestazione in memoria del figlio Yang Ruizhe (ucciso in un incidente): nel 2003 ha fondato la no profit “Green Life”, con l'obiettivo di rimboschire l'area desertica di Alashan.

Erica Balduzzi

Novembre 2019

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