Per noi, per il pianeta, per il futuro. Al via la raccolta firme
Un’economia che ci faccia stare bene, una crescita che sia felice ed equilibrata, che favorisca il vero benessere di più persone possibili, che rispetti i territori, le comunità, l’ambiente, le economie locali e chi lavora all’interno dell’intera catena di produzione e generazione di valore.
Un valore troppo spesso scambiato per il solo profitto, con ricadute negative non solo per chi è escluso da una sua equa distribuzione, ma che tornano come un boomerang a minare le premesse di un generale sviluppo economico, appunto insostenibile, a danno della qualità di vita di tutti noi, del pianeta, e a scapito delle stesse nazioni tuttora considerate “ricche”.
Disuguaglianze economiche, anche molto evidenti, si sono ormai spostate e ricostituite all’interno degli stessi pur progrediti Stati e nelle nostre regioni. I nostri territori non hanno saputo arginare gli effetti negativi di una globalizzazione che, insieme a una innegabile innovazione tecnologica e diffusione di conoscenze e opportunità, ha falcidiato – e ancora continua a farlo – molte economie locali, di comunità, molte imprese, negozi, cooperative, attività di piccole o medie dimensioni, in nome o per colpa di un mercato globale e di una comunicazione globale. Mercato e comunicazione globale che hanno solo un piccolo, devastante, difetto: non sono governate, non sono controllate nè controllabili, ma soprattutto non sono “responsabili” verso nessuno, se non verso se stesse, non essendoci contraltari pubblici in grado di confrontarsi alla pari con un tale sistema.
Come invertire la rotta? Come poter pensare di cambiare - se non il mondo, se non l’economia globale - almeno la direzione verso cui stiamo andando? Non siamo forse - ancora per qualche tempo - nel novero dei Paesi e delle Regioni ricche e benestanti che potrebbero avere le risorse, la capacità e soprattutto la lungimiranza per reimpostare e modificare una tendenza che sta mietendo vittime anche nelle nostre potenti economie nazionali, tradizionali e di mercato? Ne sono un esempio lampante la chiusura di migliaia di botteghe e negozi di vicinato, aziende familiari, piccoli produttori: un chiaro assottigliamento di tutto quel fitto tessuto, sociale prima che economico, che così capillarmente distribuito e diffuso garantiva lavoro e “ricchezza” (valore) ai territori e alle persone. Un tessuto economico caratterizzato dalle piccole dimensioni ma dinamico e flessibile, capace di adattarsi (resiliente) ai cambiamenti e anche alle crisi.
Un tessuto che fino a pochi decenni fa era necessariamente e naturalmente un’economia di relazione, di conoscenza reciproca, un’economia attenta alle persone, lavoratori o clienti che fossero. Un’economia che, anche senza esserne consapevole, rappresentava una preziosa e - diciamo noi - insostituibile risorsa sociale, garanzia di vera sicurezza, di opportunità e solidarietà con il territorio quale elemento base per il futuro della comunità. Per provare a cambiare le cose occorre ripartire esattamente da qui, dalla ricostruzione e difesa di quel mondo che partendo dalla dimensione locale possa tornare a dare valore a ciò che crea vera ricchezza per i territori, ciò che porta vero valore alla propria comunità, alle persone, senza escludere o rifiutare tendenze globali, ma riportando almeno un equilibrio andato perduto.
Uno dei punti deboli dell’Economia Sociale e Solidale è l’essere sempre stata poco o per nulla consapevole del valore che generava per l’intero territorio, o quantomeno non c’è stata una consapevolezza diffusa tra le persone e nelle Istituzioni di questo enorme valore, sì sottotraccia, ma reale.
Un fatto grave, perché sono poi quelle stesse persone che creano il “mercato” locale e poi globale, che tanto colpevolizziamo. Mentre sono le Istituzioni, dai Comuni agli Stati alle Regioni, che creano le condizioni, le leggi e i contesti concreti in cui si attuano e si sviluppano le attività economiche, produttive e commerciali, e sono le Istituzioni, tanto più quelle territoriali, che possono favorire e orientare il percorso verso una direzione piuttosto che un’altra.
La legge regionale di iniziativa popolare intende allora arrivare al cuore della questione: diffondere e promuovere conoscenza e riconoscimento pubblico del valore dell’Economia Sociale e Solidale, sia tra la gente sia tra gli stessi operatori economici e soprattutto all’interno delle Istituzioni economiche e territoriali.
Perché questo percorso si compia occorre partire dal primo passo emblema della democrazia e di una espressione non astratta della propria volontà: partecipare.
Diego Moratti