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Paradiso perduto?

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Amazzonia, ricchezze e potenzialità dell'area verde più importante della terra minacciate dagli interessi delle lobby

Il “polmone verde” del pianeta, amato e violentato, ricchissimo di biodiversità e materie prime eppure progressivamente impoverito dall'avidità umana e dagli interessi delle lobby del legname, della terra e delle coltivazioni intensive: l'Amazzonia rappresenta oggi il più grande ed evidente problema ecologico del nostro pianeta. 

Un possibile legame tra foresta e uomo

Vasta quasi quanto metà dell’Europa, l’Amazzonia è infatti la più grande foresta pluviale al mondo e rappresenta l’area con la maggiore biodiversità della Terra, in grado di condizionare e regolare il clima dell'intero pianeta. Da sola, l'Amazzonia assorbe ogni anno fino a 2 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio e rilascia il 20% dell'ossigeno della terra; l'area dell'Amazzonia – che copre una superficie superiore a 7 milioni di chilometri quadrati – è una delle più ricche di specie animali e vegetali del pianeta, ma anche una delle meno densamente popolate.

Situata per circa il 65% sul territorio brasiliano, si estende anche in Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana Francese ed è abitata da numerose popolazioni indigene, spesso vere e uniche custodi dell'equilibrio di un ecosistema ricchissimo e sempre più minacciato. Come dimostra ad esempio il caso delle tribù del Mato Grosso brasiliano “Pater-Suruis”, prima popolazione tribale del mondo a ricevere il certificato internazionale VCS (Verified Carbon Standard) per vendere crediti di CO2 grazie al disboscamento che hanno evitato sul loro territorio, espellendo oltre un centinaio di segherie abusive. A riprova del fatto che, volendo, la cura della foresta può rendere.

E non solo in termini di riduzione di emissioni: secondo uno studio pubblicato nel 2018 su Nature e ripreso dal Sole 24 Ore, infatti, un ettaro di foresta amazzonica rende ogni anno 148 dollari se trasformato in terra da allevamento, 1.000 dollari se usato per ricavare il legname e 6820 dollari se invece la foresta viene rispettata, attingendo alle sue risorse sotto forma di raccolta invece che di sfruttamento. 

Sfruttamento, lobby e deforestazione

Eppure oggi oltre un quinto della superficie originaria della Foresta Amazzonica è già andato distrutto e il ritmo purtroppo è in crescita. Enormi porzioni di foresta vengono abbattute da taglialegna illegali o per fare spazio a pascoli e allevamenti intensivi. Miniere, pozzi petroliferi, strade, dighe e opere infrastrutturali stanno frammentando la foresta, che per le sue terre ancora vergini fa gola a tanti.

Secondo le cifre ufficiali del governo brasiliano datate alla metà del 2018, in un anno (da agosto 2017 a luglio 2018) è scomparsa un'area di foresta pluviale pari a un milione di campi di calcio (8 mila chilometri quadrati, con un aumento del tasso di deforestazione pari al 13,7%, il peggiore in dieci anni. E il neo eletto presidente Jair Bolsonaro punta a lasciare ancora più potere alle multinazionali del latifondo e dell'agricoltura intensiva.

Febbraio 2019

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