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Overshoot Day: il 10 maggio l'Unione Europea ha raggiunto il giorno del debito ecologico

Overshoot Day

Il vecchio Continente di fronte alle nuove sfide ambientali tra stati di emergenza e nuovi modelli di sviluppo

Il 10 maggio l'Unione europea ha raggiunto l'Overshoot Day, il giorno del debito ecologico, ovvero la data che sancisce il consumo di tutte le risorse naturali che la Terra è in grado di rigenerare in un anno, e lo ha fatto con tre mesi di anticipo rispetto al 2018, e a soli cinque mesi dall'inizio del anno. Secondo il rapporto di Wwf e Global Footprint Network, che hanno lanciato l'allarme, se ogni essere umano del pianeta avesse uno stile di vita come quello degli europei, occorrerebbero quasi 3 pianeti per soddisfare le richieste di consumo. Un consumo insostenibile per la Terra.

Quanto consuma il vecchio Continente?

Secondo il rapporto delle due organizzazioni, l’Unione Europea consuma quasi il 20% della biocapacità della Terra pur ospitando solo il 7% della popolazione mondiale. La nazione che per prima ha esaurito le risorse a disposizione è stata la più ricca d’Europa, il Lussemburgo.

Stando alle previsioni delle Nazioni Unite, entro il 2050 due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle città, eppure per sopravvivere la nostra specie non può fare a meno dei servizi offerti dall'ambiente per alimentarsi, vestirsi, per le costruzioni e non può rinunciare alla capacità delle foreste di generare ossigeno e assorbire CO2.

Ci comportiamo come se queste risorse siano infinite, ma ormai da tempo sappiamo bene che non è così. «L’Ue e i suoi cittadini stanno attualmente utilizzando le risorse naturali a un ritmo due volte più veloce di quanto gli ecosistemi europei possano rinnovarle», si legge nel rapporto.

L’impronta ecologica pro capite, cioè l’ammontare di risorse naturali consumate da ogni cittadino europeo, è la più alta del pianeta insieme a quella degli Stati Uniti. Per i restanti sette mesi del 2019 dovremo dunque abusare del capitale naturale della Terra, producendo più emissioni di quante gli ecosistemi siano in grado di assorbire, abbattendo più alberi di quanti ne cresceranno e pescando più pesci di quanti riusciranno a nascere.

Emergenza Climatica per nazioni e città europee

Intanto, sull'onda delle mobilitazioni e delle proteste nate dal basso (come i Fridays for Future e il movimento inglese Extinction Rebellion) nazioni intere hanno dichiarato lo stato di emergenza climatica e ambientale.

Il rapporto sul riscaldamento climatico dell'IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu, pubblicato lo scorso ottobre ha infatti chiaramente dimostrato che le conseguenze dell'aumento della temperatura media di 1.5 °C includeranno un numero crescente di decessi legati a calore, scarsità di cibo e scarsità d'acqua, oltre all'aumento di eventi meteorologici estremi, che saranno più frequenti e più gravi. La scienza del clima infatti è ormai matura abbastanza da non considerare più i cambiamenti climatici solo in termini di livelli di riscaldamento aggiuntivo, ma in termini di vite umane perse, riduzione della biodiversità e terre rivendicate dagli oceani.

Al netto di queste conoscenze e spinti dalle mobilitazioni pacifiche, ma sempre più incalzanti, il governo britannico prima e quello irlandese poi hanno dichiarato lo stato di emergenza climatica. C'è chi lo considera un successo, chi ne critica l'inconsistenza. La dichiarazione di emergenza climatica, infatti, è più che altro una constatazione, dal momento che non pone ai governi alcun limite vincolante nella riduzione dei consumi e delle emissioni.

E tuttavia può essere considerato un primo passo importante anche se, per usare le parole di Greta Thunberg, emergenza climatica significa lasciare i carburanti fossili dove si trovano, ovvero sottoterra. Se il Regno Unito è stata la prima nazione al mondo ad avere ufficialmente dichiarato un’emergenza climatica e ambientale, altri governi statali, municipali e locali hanno aperto la strada. Solo nel Regno Unito circa 60 comuni l’hanno già fatto, dai più grandi come Manchester, Londra, Edimburgo e Bath, fino alla cittadina di duemila anime di Machynllet. Ma anche nel resto del mondo, dal Canada all’Australia, sempre più governi cittadini stanno portando avanti mozioni e dichiarazioni.

Acri e Milano le prime città italiane a dichiarare lo stato di emergenza

Nonostante il Mediterraneo sia una delle aree più colpite del pianeta dall'aumento delle temperature medie e i fenomeni meteorologici estremi dell'ultimo anno ne siano stati una chiara dimostrazione, la politica italiana pare essere ancora lontana dal considerare quella del clima come un'emergenza.

Un segnale forte arriva però dalla città di Milano dove, in seguito alle richieste degli attivisti di Fridays for Future, il Comune ha dichiarato lo stato di emergenza climatica e ambientale.

Milano si è così aggiunta ad Acri, la città calabra che per prima in Italia ha dichiarato lo stato di emergenza lo scorso 29 aprile. Gli attivisti per il clima milanesi hanno inoltre chiesto alle istituzioni di «fare ogni sforzo possibile per contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 °C e fissare un obiettivo di riduzione a zero delle emissioni nette di gas serra per il 2030».

Le autorità dovrebbero considerare la lotta ai cambiamenti climatici e la transizione a un’economia sostenibile come una priorità assoluta e, come gli attivisti inglesi di Extinction Rebellion, anche quelli milanesi e italiani hanno chiesto che venga riconosciuta una maggiore importanza alla democrazia partecipativa. Le istituzioni si devono impegnare a riconoscere alle assemblee cittadine un ruolo nel processo di individuazione delle misure per il contrasto dell’emergenza climatica. Che dal Vecchio Continente possa nascere un Nuovo Modello di democrazia partecipativa volto alla sostenibilità?

Arianna Corti

Giugno 2019

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