Lo sviluppo verde delle aziende italiane è in continua crescita e il Belpaese scala le classifiche europee
Per definizione la green economy è quel modello di economia che mira al contenimento dell’impatto ambientale delle diverse attività umane attraverso provvedimenti a favore dello sviluppo sostenibile.
L’uso di energie rinnovabili, la riduzione dei consumi, il riciclo e il recupero degli scarti o dei rifuti, lo sviluppo della filiera corta, il riuso delle materie prime, la difesa del suolo e delle acque, la valorizzazione dell’agricoltura biologica e il piano per l’occupazione giovanile sono alcune tra le attività ecocompatibili necessarie per incrementare questo tipo di modello economico.
Sono 372mila le aziende italiane – il 27,2% a livello nazionale – che hanno scommesso sull’innovazione, sulla tecnologia avanzata e sul lavoro a basso impatto per l’ambiente.
I dati dell’Unioncamere parlano chiaro: un’impresa su quattro abbraccia il modello della green economy per diversi motivi, non solo in virtù della necessità di affrontare gli effetti della crisi; certo è che la green economy sul territorio nazionale ha costituito solo nel 2015 il 10,2% dell’economia nazionale, arrivando a 102,49 miliardi di euro di valore aggiunto.
Inoltre, l’economia verde è sempre più apprezzata dai consumatori: stando ai sondaggi, il 78% si dice disposto a spendere di più per l’acquisto di prodotti sostenibili.
Tutto questo si traduce nel 33% delle aziende impegnate nell’industria manifatturiera che, oltre ad aver aggiornato i propri metodi produttivi, hanno risposto alla domanda di assunzioni con 3 milioni di posti di lavoro in tutta Italia.
Nei cosiddetti green job le competenze verdi costituiscono il 61% delle richieste, permettendo di innescare l’attività di ricerca sostenibile nel settore aziendale.
È un dato di fatto: puntare sulla riconversione ecologica non è più un ostacolo, ma un’opportunità di sviluppo. La recessione economica ha sicuramente spinto verso lo sviluppo di nuove forme di tecnologia innovativa, ma sono stati i risultati, soprattutto a lungo termine, ad aver motivato le aziende italiane a scegliere sistemi di produzione ecologici, insieme a una fitta campagna di educazione ambientale dei cittadini di tutte le fasce d’età.
Il punto di forza dell’Italia in questo rapido processo di riconversione economica è la crescente sensibilità da parte dei consumatori, atteggiamento che guida le scelte imprenditoriali delle aziende produttrici verso un rapporto sempre più stretto tra il secondo settore e l’ambiente, tra l’aspetto produttivo e la ricerca di soluzioni eco-innovative.
L’Italia, quindi, si sta lentamente avvicinando ai risultati dei Paesi nordici come la Svezia, la Finlandia e la Germania, dovuti al rilancio degli investimenti per le rinnovabili, per la rigenerazione urbana e soprattutto a una riforma ecologica e innovativa degli strumenti finanziari.
Si parte dall’efficienza energetica
La tutela dell’ambiente e la sostenibilità costituiscono un imperativo per le imprese italiane che hanno fatto dell’efficienza energetica il punto di partenza con cui ripensare l’economia contemporanea del Belpaese.
Secondo i dati dell’Enea, il 98% degli imprenditori vuole puntare sul risparmio e sull’uso intelligente delle risorse, portando l’innovazione all’interno della filiera e mirando a una transizione verso un’economia verde come chiave per il contenimento dei problemi ambientali e sociali che toccano le popolazioni di una larga parte del mondo.
Le Nazioni Unite raccomandano ai Paesi di tutto il mondo di investire nella green economy almeno il 2% del proprio Pil, un traguardo ancora lontano per l’Unione Europea che ha investito finora solo 23 miliardi di dollari, lo 0,2% del prodotto interno lordo.
Seppur questo sia un panorama poco incoraggiante, bisogna spezzare una lancia a favore della nostra nazione: l’Italia, infatti, è il primo Paese al mondo per contributo del fotovoltaico nella produzione di energia elettrica, pari all’8,1%, ovvero il fabbisogno di 9,1 milioni di famiglie.
Prime fra tutte le città italiane ci sono Brindisi, per MW di potenza installata (179,1 su 478 impianti), e Roma con il più alto numero di metri quadrati coperti da pannelli: sono ben 9.221 impianti fotovoltaici nella Capitale a produrre 142,5 MW di potenza complessiva.
Sono dunque le grandi città italiane a dominare anche la classifica europea, lasciandosi alle spalle le maggiori realtà urbane greche e tedesche che coprono rispettivamente il 7,4 e 7,1% del fabbisogno energetico con fonti rinnovabili.
Non è ancora chiaro se il fattore scatenante di questo successo siano stati gli incentivi statali, che hanno fatto aumentare del 137% l’impiego di fonti pulite, cosa sicura è che l’Italia ha raggiunto con diversi anni di anticipo gli obiettivi europei del 2020.
Se il nostro Paese riuscirà a soddisfare con le rinnovabili una domanda sempre crescente di energia e quale ruolo giocherà la mancanza di un quadro normativo chiaro e definito sono considerazioni ancora di là da venire.
Di sicuro per poter cambiare le carte in tavola e dare una chance all’energia pulita è necessaria una netta e radicale inversione di tendenza.
Inversione di tendenza: rinnovabili batte fossili
In Italia, nonostante il drastico taglio agli incentivi, l’energia elettrica generata da fonti rinnovabili ha superato quella generata da risorse fossili e questo sorpasso, seppur lieve (l’energia verde ha coperto il 50,5% del fabbisogno nazionale), segna l’inizio di una nuova epoca.
A giugno 2016, il 39% della produzione di energia sostenibile è stata dovuta all’idroelettrico, seguito dal fotovoltaico con il 21%, l’eolico con il 19%, le biomasse con il 16% e con il 5% la geotermia.
Le rinnovabili sono tecnologie sicure, avanzate, in grado di competere sul mercato internazionale con le fonti tradizionali. La messa in opera di impianti di nuova generazione costituisce un investimento facilmente ammortizzabile grazie al risparmio dei consumi.
Queste considerazioni sono diventate un vero e proprio mantra per i 39 comuni italiani che hanno deciso di essere rinnovabili al cento per cento. Tra Badia (Bolzano), Brunico (Bolzano), Morgex (Aosta), Sarnonico (Trento), Radicondoli (Siena), Resia (Udine), Vipiteno (Bolzano) e Montieri (Grosseto) anche Sedrina e Tirano per la Lombardia sono stati considerati “campioni delle rinnovabili” dal Report pubblicato lo scorso maggio (2016) da Legambiente e realizzato con il contributo di Enel Green Power.
Questi comuni hanno scelto di adottare soluzioni tecnologiche innovative per l’intera produzione di energia destinata a usi elettrici, come mobilità e smart grid, ma anche ad usi termici, come il riscaldamento domestico e pubblico. Il risultato non è solo una bolletta meno cara, ma anche quello di proteggere e mantenere più a lungo possibile la ricchezza impareggiabile del nostro pianeta.
Dal 1973, anno della prima grande crisi petrolifera del nostro pianeta, i governi hanno investito parte delle loro risorse economiche nello sviluppo della ricerca e nelle tecnologie cosiddette inesauribili, quelle cioè la cui durata supera le aspettative temporali della civiltà umana.
Dagli anni ’70 in poi i vertici politici nazionali hanno iniziato a incentivare l’impiego di risorse rinnovabili: dall’oro nero all’energia verde il passo è stato breve, ma è servito il pericolo di una crisi economica e politica mondiale.
Si dovranno aspettare gli anni ’90 per spostare l’attenzione sulle tematiche ambientali e sul cambiamento climatico.
Oggi, i cittadini, le amministrazioni e le aziende di gran parte del mondo hanno in mano gli strumenti per guidare una controtendenza nello sviluppo economico.
Tutto sta in un’obiettiva presa di coscienza e nel voler considerare un diritto inderogabile il benessere futuro della comunità.
Ilaria D’Ambrosi