Riportare i mari europei a un buono stato ambientale: obiettivo mancato. L'allarme dell'Agenzia Europea dell'Ambiente
Vista dallo spazio la Terra è un pianeta blu: i mari e gli oceani occupano infatti oltre il 70% della sua superficie. L'ecosistema marino rappresenta il tipo di ambiente più diffuso, quello da cui è nata e si è evoluta la vita: la sua importanza per l'equilibrio ecologico del pianeta e per la nostra sopravvivenza è fondamentale. Le condizioni dei mari determinano infatti la capacità di fornire, tra l’altro, ossigeno, cibo, un clima abitabile e alcune materie prime, oltre che di sostenere le attività ricreative, il tempo libero e la salute. Oceani e mari sono dunque indispensabili per la vita sulla Terra e sono anche lo specchio della salute del nostro Pianeta. E quello che ci dicono non promette bene.
Obiettivo pesca sostenibile
«Di fronte alle crescenti minacce poste dall’eccessivo sfruttamento delle risorse marine, dall’inquinamento e dal cambiamento climatico, è necessario intraprendere azioni urgenti per riportare i mari europei a buone condizioni». Secondo la relazione sugli ecosistemi marini europei pubblicata a fine giugno dall’Agenzia europea dell’ambiente, Aea, il tempo a disposizione per invertire decenni di incuria e uso improprio sta esaurendo.
Tra tutte le attività legate agli oceani e al mare, c'è in primo luogo la pesca: affinché lo stato di salute dei nostri mari migliori non si può quindi prescindere da una corretta gestione delle risorse ittiche e delle attività a esse legate. Nel 2013, con la Politica comune della Pesca, l'Unione Europea si era impegnata perché tutte le flotte di pescherecci dei paesi dell’Unione rendessero la loro attività sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale, per riuscire così a riportare i mari a un buono stato ambientale entro il 2020: purtroppo gli obiettivi non sono stati raggiunti. Secondo la relazione dell’Aea, infatti, tutti i mari che bagnano il continente sono generalmente in cattivo stato, con alterazioni che vanno dalla composizione delle specie e degli habitat marini fino alla composizione fisico-chimica delle acque.
A tutti questi problemi si aggiunge il cambiamento climatico, che potrebbe arrecare danni irreversibili agli ecosistemi marini. «I nostri mari ed ecosistemi marini soffrono, a causa di anni di grave sovrasfruttamento e incuria. Potremmo presto raggiungere un punto di non ritorno, ma abbiamo ancora una possibilità di ripristinare gli ecosistemi marini se agiamo in modo deciso e coerente e realizziamo un equilibrio sostenibile tra il modo in cui utilizziamo i mari e il nostro impatto sull’ambiente marino», ha affermato Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Aea.
La relazione indica infatti anche segnali di ripresa degli ecosistemi marini in alcune aree, proprio a seguito dell’impegno significativo profuso, spesso durato decenni, per ridurre determinati effetti come quelli causati da contaminanti, eutrofizzazione e pesca eccessiva. Le aree e i mari dove la pressione delle attività umane è particolarmente forte si confermano essere Mar Adriatico, Golfo di Biscaglia e Mar del Nord.
Un mare di plastica e... DPI
Ma non sono solo i cambiamenti climatici e la pesca a creare danni agli ecosistemi marini e oceanici. Bisogna infatti aggiungere l'inquinamento proveniente dalla terraferma e dai fiumi, quello causato dal trasporto marittimo, quello derivante dalla presenza della plastica e - da qualche mese - anche l'inquinamento da dispositivi di protezione individuali, i cosiddetti DPI. La società di consulenze Frost & Sullivan ha calcolato che gli Stati Uniti da soli rischiano di generare un intero anno di rifiuti medici in appena due mesi e secondo un recente rapporto del Wwf, se anche solo l’1% delle mascherine usa e getta venisse smaltito in maniera scorretta, ogni mese circa dieci milioni di esse finirebbero in natura, inquinando fiumi e oceani.
Stando ad uno studio pubblicato il 23 luglio da SystemIq, azienda che si occupa di sostenibilità, se non verranno prese misure urgenti il flusso di plastica negli oceani è destinato a triplicarsi entro il 2040, raggiungendo i 29 milioni di tonnellate all’anno. Noi, come sempre, possiamo fare la nostra piccola parte scegliendo mascherine lavabili, smaltendo sempre qualsiasi rifiuto nel modo corretto e scegliendo solo pesce da pesca certificata.
Arianna Corti