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L’energia idroelettrica in Lombardia. Il punto della situazione

La centrale di Lecco

Snellire la burocrazia ed emanare nuove norme in linea con le direttive dell’UE. Questi gli obiettivi emersi nel corso di un workshop a Bergamo organizzato da Federidroelettrica in collaborazione con Ressolar

L’Italia, ormai lo sappiamo, è un Paese spesso in cronico ritardo legislativo. Stavolta il caso in esame è il mercato dell’energia idroelettrica, che ancora necessita di un preciso e ben definito quadro normativo per essere in regola con le direttive emanate dall’Unione Europea in materia. Di questo e del possibile sviluppo del settore in Lombardia si è discusso in maniera approfondita lunedì 29 gennaio 2018 presso il Parco “Kilometro Rosso” alle porte di Bergamo. Il convegno, organizzato da Elettricità Futura e Federidroelettrica (rappresentate rispettivamente da Franco Frosio e Flavio Sarasino), è stato moderato da Gianluigi Piccinini, imprenditore a capo di una storica azienda – la Ressolar – che da tempo opera nelle fonti rinnovabili e che si appresta ad aprire a Schilpario due impianti idroelettrici. I gestori di centrali idroelettriche e aspiranti tali si sono riuniti per fare il punto della situazione, aiutati dagli interventi di numerosi relatori esperti in materia.

In attesa dal 1999

Presente anche l’Assessore regionale all’Ambiente Claudia Terzi, che ha definito “terra regina” la nostra Lombardia, essendo un territorio con un elevato patrimonio idrico. Le centrali idroelettriche trovano nella Lombardia una casa ideale, quindi lo sviluppo di questo tipo di energia rinnovabile nella nostra regione è assicurato.

Ma la legge si rivela ancora un grosso ostacolo. A dire il vero, sarebbe meglio parlare di una non-legge, visto che è la mancanza di una precisa direttiva nazionale a complicare la vita di chi vuole inserirsi in questo campo.

Come ha ricordato Mauro Fasano, dell’Unità organizzativa Risorse Idriche della Regione Lombardia, la legge di riferimento è il decreto legislativo n. 79 del 1999, emanato dall’allora ministro Pier Luigi Bersani. Il decreto citato, che dava facoltà alle Regioni di concedere ai gestori determinati bacini d’acqua da destinare all’uso idroelettrico (facoltà confermata poi dall’esito del recente referendum del 2016), stabiliva di indire apposite gare per individuare i futuri gestori del servizio idroelettrico, una volta scadute le concessioni esistenti. Sarebbe però stato necessario attendere un decreto attuativo per la definizione di queste gare che non è mai più arrivato.

Di conseguenza, come poi stabilito dall’articolo 37 del decreto legge 83/2012, anziché procedere a bandi di gara, è possibile per il gestore uscente con concessione già scaduta proseguire automaticamente la propria attività. Solo l’Enel, a seguito del decreto Bersani, avrebbe goduto di una concessione trentennale, che infatti scadrà nel 2029.

Contro il libero mercato

È chiaro che questo va contro i principi di libero mercato, perché una simile situazione penalizza i gestori che vorrebbero inserirsi nel settore e ottenere concessioni per la produzione di energia elettrica. Si tratta di vere e proprie barriere all’ingresso, che difatti hanno portato l’UE ad aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

Le Regioni, con l’intento di definire una nuova normativa che tenga anche conto delle rilevazioni comunitarie, hanno trasmesso una proposta al tavolo tecnico appositamente istituito nell’aprile 2017 dalla Presidenza del Consiglio. Tale proposta prevede, in breve: una procedura selettiva pubblica basata su progetti e non solo su aspetti economici, in cui molta importanza è data al fattore ambiente; una normativa direttamente ed immediatamente applicabile, che non rimanda ad atti da adottarsi in tempi successivi; requisiti progettuali minimi e pochi «automatismi», in quanto ogni impianto è diverso dall’altro e ogni territorio ha delle peculiarità da tutelare; trasparenza del procedimento; una durata della concessione pari a 60 anni per consentire alle imprese di investire a lungo termine.

Nel frattempo, a chi è impossibilitato a subentrare nella gestione di un impianto già esistente, non resta dunque che costruirne uno nuovo, con tutti i costi però che ciò comporta.

L’impatto ambientale è poi ovviamente un altro criterio determinante da considerare, al punto che prima di procedere alla costruzione di una centrale è necessario studiare gli effetti della conseguente alterazione del livello delle acque sull’ittiofauna locale. Ma anche in questo caso – vedasi la Direttiva Acque – la normativa italiana è ben poco chiara.

Ora non resta che attendere il pronunciamento dello Stato: arriverà finalmente un decreto attuativo ministeriale?

Lorenzo Dell’Onore

Febbraio 2018

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