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Gad Lerner: "Il mio ricordo di Alex Langer"

Gad Lerner: "Il mio ricordo di Alex Langer"

Il giornalista sarà a Torre Boldone il 24 novembre, in occasione della rassegna “Molte Fedi Sotto lo Stesso Cielo”. L’importanza del dialogo tra culture partendo dalla figura simbolo dell’interculturalità

 

Torna anche quest’anno “Molte Fedi Sotto Lo Stesso Cielo”, il ciclo d’incontri promosso dalle Acli, con il patrocinio del comune di Bergamo e diversi gruppi e associazioni del nostro territorio. Obiettivo della rassegna è proporre un alfabeto delle culture e delle religioni che fornisca gli spunti per vivere con responsabilità il mondo plurale che ci troviamo ad abitare. Educare al dialogo e al confronto interculturale e interreligioso è la proposta ambiziosa di questa rassegna, che invita il grande pubblico a incontri, seminari, spettacoli, visite e conferenze con alcuni significativi testimoni del nostro tempo in campo artistico, culturale, storico e religioso.

 

Il titolo scelto per l’edizione 2014 è “Non abbiate paura! Tracce di speranza per l’uomo d’oggi”, un tema quanto mai calzante quello della paura, in anni in cui le crisi, gli individualismi, le precarietà fanno tremare la terra sotto i piedi di tutti. La rassegna è quindi un invito a ricominciare proprio da questo tempo di perdita e di timori, cercando ispirazione dalle parole, dalle immagini, dai gesti degli ospiti che vi partecipano.

 

Il giornalista di origini libanesi Gad Lerner, è uno di questi. Da sempre attento ai temi dell’interculturalità e del rispetto delle differenze, il 24 novembre presso l’Auditorium Sala Gamma di Torre Boldone terrà un incontro dal titolo “Provate sempre a riparare il mondo. Ritratto di Alex Langer”, a ricordo del giornalista, politico, collega e soprattutto amico. Oltre a essere uno dei leader del movimento verde europeo, Alex Langer è stato promotore di moltissime iniziative di pace, convivenza e difesa dell’ambiente. Decise di porre fine alla propria vita il 3 luglio del 1995, lasciando agli amici un biglietto: “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”.

 

Signor Lerner impossibile non notare alcuni punti in comune tra la sua biografia e quella di Langer: le origini ebraiche, la militanza in Lotta Continua, la multietnicità e -non ultima- la religiosità. Che cosa ha rappresentato per Lei la figura di Alex Langer?

 

Innanzitutto un maestro. I nove anni d’età che ci separano non dicono abbastanza del mio debito nei suoi confronti, perché lui mi ha iniziato alla consapevolezza di come anche le nostre diversità, le nostre origini a mosaico, potessero essere qualche cosa da valorizzare, da coltivare. Facevamo parte del movimento giovanile in un’epoca in cui la dimensione di ciò che ci univa oltrepassava nettamente quei confini religiosi, etnici, culturali che però lui conosceva bene per essere nato in una terra composita, in cui si veniva forzati dalla legge a esprimere la propria appartenenza etnica. Io arrivavo con il mio nome strano nella redazione di Lotta Continua a Roma e ho trovato in lui una persona che mi ha incoraggiato a utilizzare la mia lingua, l’ebraico, per fare viaggi in Medioriente, in Israele.

 

Abbiamo organizzato insieme incontri tra pacifismo israeliano e resistenza palestinese e ho avuto la fortuna di accompagnarlo nel 1978 quando tornò nel Sud Tirolo Alto Adige. Questa precisazione linguistica gli sarebbe molto cara, era pignolo nell’uso corretto della lingua, nella toponomastica e nella tutela del bilinguismo. Io lo accompagnai in questa prima fantastica campagna elettorale, conoscendo così anche alcuni aspetti del suo carattere che mi sono rimasti impressi. Per esempio il disagio con cui viveva la sua origine borghese: per una serie di coincidenze ci trovammo a dover dormire nella bella casa di sua madre e questa dimensione di benessere lo metteva abbastanza in imbarazzo.

 

Nella prefazione a “Il viaggiatore leggero”, Goffredo Fofi parla del concetto di “ponte” (tra popoli e fazioni, tra uomo e ambiente) per esprimere l’impegno politico, ecologico e la persona stessa di Langer. Riconosce anche Lei questo termine come appropriato?

 

Basti pensare che la prima rivista di cui fu fondatore ancora giovanissimo negli anni Sessanta si chiamava proprio “Il Ponte” e la sua figura di riferimento nell’infanzia era San Cristoforo, colui che sulle sue robuste spalle accompagnava dall’una all’altra sponda del fiume le persone, fino alla grande fatica di portare all’altra riva un bambino, da cui il nome “Cristoforo”, cioè portatore di Cristo. Questa è la dimensione cristiana di Alex, che è rimasta anche nel suo tormento sacrificale, nel suo costante sentirsi inadempiente che poi l’ha portato a compiere l’estremo terribile gesto. Voleva essere “ponte” per attutire lo scontro tra fazioni e promuovere il dialogo, specialmente durante la guerra interna all’ex Jugoslavia, ma voleva anche farsi portabandiera di un diverso concetto di sviluppo e crescita che tenesse conto del rapporto con l’ambiente.

 

Questo senso d’inadempimento può aver contribuito alla drammatica decisione di togliersi la vita?

 

Alex era un uomo tormentato anche se capace di grande allegria. Provo senso di colpa nei suoi confronti, penso abbia vissuto un profondo senso d’incomprensione a un certo punto. Io e altri abbiamo accompagnato Alex nella sua avventura dopo Lotta Continua, che l’ha portato, grazie al suo cosmopolitismo e bilinguismo, al vertice dei Verdi. Quando da deputato europeo ha assistito alla degenerazione della situazione jugoslava e ha constatato come quell’equilibrio della convivenza che aveva tanto esaminato e sostenuto nella propria terra, aveva dato invece luogo a una deflagrazione tragica, noi non gli siamo stati abbastanza vicini. Abbiamo capito dopo cosa stava accadendo a Sarajevo. Si è sentito isolato e incompreso in un momento in cui aveva bisogno di sostegno perché si era schierato in una posizione di segno opposto rispetto al suo incondizionato pacifismo. Si è trovato nella posizione di dover chiedere l’intervento umanitario militare, cosa che gli costava moltissimo.

 

Un altro termine che emerge dalla prefazione di Fofi è “carità” (piantare la carità nella politica). In che senso?

 

Alex era sinceramente stupito e scandalizzato dal carrierismo che si affacciava nell’istituzionalizzazione dei movimenti da cui provenivamo. Quando cominciammo a conseguire qualche successo elettorale, a lui non sembrava vero che occupare quei ruoli e diventare dirigenti di partito potesse dare luogo a una carriera. Quando il movimento dei Verdi italiano cominciò a essere lacerato dai commenti, lui ne propose lo scioglimento. Proponeva un’applicazione quasi letterale del principio di carità di cui parla Goffredo Fofi: la politica come totale servizio, come responsabilità di uno e di tutti verso “la cosa pubblica”, il “bene comune”.

 

Signor Lerner, da poco tornato dall’Iraq, sul suo blog scrive: “Lì viene praticato lo sterminio dimostrativo dei maschi adulti appartenenti a etnie e confessioni ritenute neanche meritevoli di essere sottomesse”. Perché non si conosce, non si vuole conoscere l’altro?

 

A causa di un oscurantismo fanatico che noi abbiamo conosciuto. Noi oggi manifestiamo stupore e incredulità di fronte a certi documenti dell’Isis, il movimento islamico sunnita che teorizza lo sterminio di popoli considerati inferiori. Ci sembra di ripiombare in un’epoca medievale, ma le stesse cose venivano teorizzate nella civilissima Europa ottant’anni fa: il nazionalsocialismo tedesco non era diverso nel rapporto con la diversità.

 

Ma anche la situazione balcanica di vent’anni fa, che ha causato ad Alex tanto dolore, riproponeva la stessa dinamica: un asserragliarsi dentro un’egomania collettiva che è alla base di qualunque fanatismo. Oggi abbiamo molte meno scuse di prima, non possiamo dire che non lo sapevamo.

 

A proposito di dialogo impossibile: Israele e Palestina. Un’azione di riconoscimento dello Sato di Palestina da parte dell’Europa, può effettivamente influire sulla situazione conflittuale tra questi Paesi?

 

Ancora un insegnamento preziosissimo di Alex Langer per riuscire a rispondere con una battuta a un tema così complesso: il suo ormai divenuto celebre tentativo di un decalogo per la convivenza interetnica che si trova in “Il viaggiatore leggero”. Il concetto fondamentale che lui esprime è il bisogno fondamentale di persone che all’interno delle proprie comunità sviluppino un senso auto critico, uno sconfinamento. Servono persone capaci di “tradire” l’ordine della compattezza etnica; una precisazione però: occorre saper tradire il proprio Paese senza diventare transfughi, cioè senza abbandonarlo, se no non serve a niente. Questo atteggiamento è più che mai necessario nei conflitti che richiedono una fedeltà assoluta a una parte e invitano a considerare vittime solo i tuoi, desensibilizzando l’opinione pubblica nei confronti delle sofferenze dell’altro.

 

Mara D’Arcangelo

Gennaio 2015

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