Conclusa a gennaio 2024 una ricerca-azione per lo sviluppo delle filiere del cibo sostenibili in provincia di Bergamo, curata da Vittorio Rinaldi e coordinata dal DessBg
Tra il mese di febbraio 2023 e il mese di gennaio 2024 il Distretto di Economia Sociale e Solidale della bergamasca ha realizzato una ricerca intitolata “Filiere più corte, filiere più forti. Una ricerca-azione partecipativa per lo sviluppo delle filiere del cibo sostenibili in provincia di Bergamo”. L’indagine, condotta dal Dott. Vittorio Rinaldi in collaborazione con il DessBg, è nata dall’esigenza di approfondire la conoscenza delle produzioni agricole di piccola scala presenti in provincia di Bergamo e individuare strategie d’azione utili a favorirne lo sviluppo. In particolare lo studio si è concentrato sulle imprese familiari e cooperative più attente alla sostenibilità ambientale e impegnate nella valorizzazione del patrimonio naturale e nella salvaguardia di saperi contadini e tipicità produttive. L’indagine si è quindi concentrata su un segmento specifico del mondo dei produttori agricoli del bergamasco, caratterizzato per l’appunto dalla cura dell’ambiente e dalla manutenzione del territorio. La ricerca si è realizzata attraverso 31 interviste semi-strutturate a produttori, 1 sondaggio di mercato condotto su 565 utenti e la consultazione di 15 esperti di settore. L’indagine ha coinvolto soprattutto realtà agricole localizzate nella fascia montana e pedemontana della provincia che uniscono attività di produzione primaria e attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti. In particolare il gruppo di imprese intervistate ha compreso 26 aziende agricole di tipo familiare e 5 cooperative.
La composizione delle aziende agricole
Il primo elemento emerso dall’indagine è stata la composizione variabile delle aziende agricole di tipo familiare. In alcuni casi l’azienda consiste infatti di 1 singolo produttore, che al momento del bisogno si avvale dell’aiuto del coniuge, dei genitori o di fratelli e sorelle; in altri casi consiste in una coppia marito-moglie che ricorre all’aiuto di amici, parenti o avventizi nei periodi di picco del lavoro; in altri casi ancora di una coppia padre-figlio operante col supporto saltuario di amici, parenti o stagisti. Solo in una minoranza dei casi si è registrata la presenza di lavoratori dipendenti assunti o contrattati in pianta stabile. Comune alla maggior parte delle realtà intervistate è il fatto che il reddito dell’azienda agricola sia integrato, soprattutto nella fase iniziale del ciclo di vita aziendale, da redditi ricavati da altro impiego lavorativo, o dello stesso conduttore dell’azienda o del coniuge o di altri familiari. La necessità di redditi aggiuntivi per garantire il funzionamento dell’impresa è indicativa della diffusa difficoltà delle piccole aziende nel realizzare redditi sufficienti per garantirsi una sostenibilità economica. Gli intervistati hanno infatti evidenziato chiaramente come i ridotti margini di guadagno siano il principale fattore limitante che grava sulle loro economie e impedisce di assumere dipendenti, ai quali si ricorrerebbe peraltro volentieri laddove il volume d’affari e la marginalità lo permettessero.
Fattori positivi e negativi
La ricerca ha accertato che una vocazione diffusa alla salvaguardia ambientale e alla valorizzazione del territorio è presente tra le piccole realtà produttive anche laddove non dispongono di una certificazione biologica. Anche in tal caso, infatti, svolgono spesso un’azione ecologicamente positiva, occupandosi di dare manutenzione ad aree agricole abbandonate e zone boschive di cui nessun altro si occuperebbe, conservando saperi agricoli tradizionali e varietà di semi antiche destinati altrimenti ad andare dispersi e alimentando conoscenze botaniche e zootecniche specialistiche. Non solo, anche sotto il profilo sociale le piccole realtà produttive risultano portatrici di benefici, come l’accoglienza e l’informazione di villeggianti ed escursionisti, l’educazione di scolaresche e studenti di istituti professionali, l’accoglienza di tirocinanti e stagisti e, nel caso delle cooperative sociali, l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e l’organizzazione di eventi e attività a sfondo culturale.
L’indagine ha messo in luce d’altro canto i fattori di criticità e preoccupazione più acutamente percepiti dai coltivatori. Tra di essi spiccano gli effetti negativi dei cambiamenti climatici in corso, il peso sempre più insostenibile degli adempimenti burocratici, l’aumento dei costi di energia, macchinari e input innescato dalla crisi internazionale e la scarsità di terreni ad uso agricolo dovuta al consumo di suolo generata dalle continue espansioni edilizie degli ultimi decenni. Per contro, gli intervistati sottolineano le buone potenzialità commerciali delle attività avviate, a prescindere dai prodotti coltivati o allevati, nonché la crescente sensibilità dei consumatori per i prodotti di qualità d’origine locale e attenti alla sostenibilità ambientale. In particolare segnalano buone potenzialità commerciali per prodotti come le erbe selvatiche, le uova e il pollame allevato in forma tradizionale, i frutti di bosco, i formaggi caprini, rimanendo la produzione casearia di qualità uno dei filoni commercialmente più proficui malgrado la presenza di numerose realtà produttrici di formaggi. L’analisi delle strategie commerciali indica altresì che in generale la vendita dei trasformati è più redditizia della vendita delle materie prime e le attività di agriturismo e ristorazione più redditizie delle attività primarie svolte dalla stessa azienda agricola.
La priorità del rapporto produttore-consumatore
Il dato tuttavia più significativo emerso dall’indagine concerne la strategia di sviluppo delle piccole realtà agricole, che risulta chiaramente orientata alla ricerca di un rapporto diretto col consumatore e alla cura della qualità del prodotto, più che ad aumenti di scala e dei numeri delle produzioni. L’orientamento al rapporto diretto si evince dall’analisi dei canali di vendita, dal momento che lo spaccio diretto in azienda è un canale quasi sempre presente insieme alla vendita nei mercati contadini e alla consegna a domicilio ai privati, mentre il canale digitale resta chiaramente quello ancor oggi meno sfruttato. I clienti sono quindi il frutto principalmente di passaparola, buona reputazione e contatto personale. La vendita diretta al consumatore presenta evidenti vantaggi, perché riduce i costi di trasporto e il tempo-lavoro implicati nella distribuzione commerciale, ma si lega anche a una motivazione di carattere extra-economico, ovverosia dal desiderio di far sì che il cliente conosca non solo i prodotti ma l’intera esperienza professionale, umana e ambientale che li presuppone. La ricerca del rapporto diretto è cioè stimolata anche dal desiderio di poter condividere il modo in cui si realizza il lavoro agricolo, di far conoscere i saperi agronomici o zootecnici che lo rendono possibile e mostrare i percorsi attraverso i quali si arriva a dar vita al formaggio, al salame, alle confetture o alle erbe aromatiche.
Visite esperienziali
Alla luce della priorità assegnata dai produttori alla ricerca del rapporto diretto, l’indagine ha quindi effettuato un sondaggio di mercato che ha coinvolto 565 consumatori al fine di verificare se la strategia del contatto diretto azienda-consumatore trovasse l’interesse e la disponibilità di questi ultimi. Il sondaggio ha mostrato chiaramente una generale adesione e alte percentuali di gradimento dei consumatori bergamaschi per l’ipotesi di un coinvolgimento in un rapporto diretto coi produttori. Dall’indagine è emerso anche un altro elemento di rilievo: momenti di conoscenza e incontro sul campo coi produttori potrebbero avere risvolti positivi ai fini della valorizzazione turistica complessiva dei territori ove essi hanno sede, potendo combinarsi con momenti di esplorazione dei patrimoni artistici, religiosi e naturalistici circostanti. La combinazione di visite organizzate alle aziende e percorsi turistici nei loro dintorni recherebbe infatti un beneficio non solo ai singoli agricoltori ma all’insieme delle comunità locali. Nelle conclusioni, la ricerca suggerisce quindi di dar vita a un programma di sostegno a piccoli produttori e cooperative incentrato sulla strategia del “turismo esperienziale” mediante l’organizzazione di un circuito sistematico e continuativo di visite teso a favorire tra i consumatori una conoscenza di prima mano delle aziende agricole e insieme dei luoghi e delle ricchezze artistiche e naturali circostanti.