Il mondo scientifico si interroga sulle relazioni tra crescita e clima
Il Nobel per l’Economia quest’anno è andato a due economisti statunitensi, William Nordhaus e Paul Romer, per aver sviluppato «metodi che affrontano alcune delle sfide fondamentali e più urgenti del nostro tempo: combinare la crescita sostenibile a lungo termine dell'economia globale con il benessere della popolazione del pianeta». Un segnale all’America di Donald Trump - che ha definito il riscaldamento globale una «costosissima cagata» e ha portato gli Stati Uniti fuori dall’accordo sul clima di Parigi, rilanciando l’utilizzo delle energie fossili - e che arriva proprio insieme all’ultimo rapporto sul clima del Comitato intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l’Ipcc, e al suo monito sul “punto di non ritorno”. Eppure l'assegnazione del Nobel a Nordhaus e Romer ha scatenato il dibattito, ma non è stato il Presidente degli Stati Uniti ad aver qualcosa da ridire.
Da Science le critiche alla crescita continua
È Science, tra le più prestigiose riviste scientifiche, a dar voce alle perplessità di alcuni economisti. Assodato il fatto che un Nobel a due economisti che si occupano di cambiamenti climatici sia di per sé una buona cosa, gli economisti ecologici fanno notare l’errore di fondo delle teorie di Nordhaus e Romer, cioè l’obiettivo della crescita continua. L'economia ecologica è infatti un approccio alla teoria economica incentrato sul legame tra equilibrio dell'ecosistema e benessere delle persone, mentre l'economia dell'ambiente si limita a studiare gli effetti prodotti dalla crescita economica sull'ecosistema.
Entrambi i premi Nobel peccherebbero dunque di un'eccessiva fiducia nella crescita continua: tanto Romer, con la sua teoria della crescita endogena e l’importanza di ricerca, sviluppo e brevetti, quanto Nordhaus, imponendo una soglia di riscaldamento globale massima, che gli Stati si sentirebbero legittimati a raggiungere anziché evitare. «Le sue analisi hanno permesso di continuare a prendere tempo», sostiene Julia Steinberger, economista ecologica dell’Università di Leeds, UK. Quello che serve, invece, è una drastica inversione di rotta
L’importanza degli studi di William Nordhaus
William Nordhaus fu il primo economista, negli anni Settanta, ad interessarsi agli effetti del cambiamento climatico, mettendo a punto un modello che ne valutasse gli impatti sull’economia e arrivando a teorizzare la riduzione delle emissioni e a definire un limite massimo di riscaldamento globale tollerabile e conciliabile con la crescita economica. Secondo gli studi di Nordhaus, il rimedio più efficace per risolvere i problemi causati dalle emissioni di gas serra sarebbe la tassazione delle emissioni di anidride carbonica uniformemente imposta a tutti i Paesi. Una soluzione sicuramente efficace, ma non più sufficiente.
Ed è lo stesso professor Nordhaus a commentare il Premio con parole amare: «La politica è ancora troppo lontana, a miglia di distanza dai progressi dalla scienza e da quello che deve essere fatto. È difficile essere ottimisti. E con le disastrose politiche dell’amministrazione Trump stiamo davvero andando all’indietro».
Il riferimento potrebbe essere anche alle ultime drastiche proiezioni dell'Ipcc, secondo cui è fondamentale dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 e abbatterle del tutto entro il 2050 per mantenere il riscaldamento globale entro la soglia cruciale di +1,5°C, soglia che comunque potrebbe non essere sufficiente a evitare impatti climatici considerevoli e, in alcuni casi, irreparabili, come l'innalzamento del livello dei mari e la distruzione di interi ecosistemi.
Economia o Ecologia, chi ci salverà?
E mentre gli effetti drammatici dei cambiamenti climatici sono evidenti anche nel nostro Paese, la necessità di trovare una risposta – e di farlo in fretta e insieme – è ormai un imperativo per gli economisti, gli scienziati, gli ecologisti e i grandi assenti, i leader politici. La crescita continua, l'abuso delle risorse, il consumismo esasperato fine a se stesso non sono più sostenibili. E in fondo economisti ed ecologisti qualcosa in comune ce l’hanno, se non altro nel nome: la radice etimologica eco- deriva dal greco òikos, ovvero famiglia o casa. Due ambiti di studio legati quindi da quel primo elemento eco-, che ci richiama al concetto di casa comune, intesa come umanità.
Perché è sempre bene ricordare che è l’umanità intera ad essere a rischio, non il Pianeta, e che ognuno di noi ha il dovere di fare la sua parte anche nelle piccole scelte quotidiane.
Arianna Corti