Il genere letterario nato per rappresentare il mondo a testa in giù
La prima forma di satira, in età arcaica a Roma, è costituita dalla “satura” drammatica (ossia, concepita come rappresentazione teatrale): una forma rozza e primitiva di teatro comico, caratterizzata da uno scambio di battute salaci e volgari fra attori improvvisati, all’insegna del riso sguaiato e della licenziosità del linguaggio. Nel passaggio dal genere teatrale a quello letterario, la satira latina si distingue in tre tipologie, tutte appartenenti al modo “serio-comico”, ma diverse sotto molti aspetti: la satira di tipo enniano, che presentava una notevole varietà di argomenti e di metri, alcuni dei quali popolari; la satira in versi di Lucilio, Orazio e Persio, legata alla dimensione dei “sermones” (ossia, “conversazioni”); la satira menippea, introdotta a Roma da Marco Terenzio Varrone, nel 90 a.C. circa, ma inventata in Grecia dal filosofo cinico Menippo di Gadara, nel III secolo a.C.
Di questi tre tipi, il più curioso è forse quello della satira menippea, caratterizzata da una grande varietà metrica e contenutistica, dalla continua e libera alternanza di prosa e di versi, da uno straordinario realismo, legato ai temi della vita quotidiana di gusto popolare, come cibo e sesso, e dallo stile comico-serio. Si tratta di una prospettiva eccentrica da cui criticare e guardare con distacco il mondo con il frequente inserimento di parole straniere. Rientrano, almeno in parte, nel genere della “satira menippea” opere celebri della letteratura latina, come per esempio l’”Apokolokyntosis” di Seneca (un titolo bizzarro, che in italiano suona pressappoco “Apoteosi di quella zucca di Claudio”), una parodia e caricatura dell’imperatore Claudio.
Altro esempio è il “Satyricon” di Petronio, una sorta di romanzo d’avventure, giunto fino a noi in forma frammentaria, in cui il protagonista, il giovane Encolpio, è coinvolto in una serie di viaggi e peripezie per sfuggire all’ira del dio del sesso, Priàpo, da cui è perseguitato. Attraverso il tema del riso, gli Antichi potevano quindi affrontare con distacco e ironia alcuni temi scottanti, ribaltandoli in chiave parodistica e caricaturale. Si proponeva così ai lettori, in un linguaggio divertente, fantastico, ricco di sorprese e dissacrante, una seria e critica consapevolezza della generale vanità delle cose, del carattere effimero del potere e dei potenti, insomma una rappresentazione del mondo “a testa in giù”, capace di scatenare attraverso il riso una visione critica del reale e dei valori dominanti nella società del proprio tempo.
Maria Imparato
Etimologia della parola satira
“Castigare ridendo mores”, ossia “Colpire i vizi sorridendo”, questo lo scopo dichiarato della satira di Orazio (poeta latino di età augustea), con riferimento al genere della “satura” letteraria, una forma d’arte che nasce nella cultura antica all’insegna del realismo, della varietà dei temi e dei linguaggi, per la rappresentazione della realtà quotidiana e per la critica, spesso feroce e spregiudicata, dei vizi degli uomini e della società.
I Romani distinguevano due tipi di satira latina: la satira in versi di Lucilio, Orazio, Persio e la satira menippea, introdotta a Roma da Marco Terenzio Varrone, ma inventata in Grecia dal filosofo cinico Menippo di Gadara, nel III secolo a.C.
Se Quintiliano (maestro di retorica in età flavia, nato nel 35 d.C. e morto nel 96 d.C,) afferma l’autoctonia del genere satirico a Roma, la critica moderna ha indagato se mai esistessero modelli greci della satira latina. Si è pensato all’epos satirico, alla commedia, al mimo, all’antico giambo, alla diatriba cinica e all’epigramma, ma non si è riusciti a far derivare la satira latina da un preciso genere letterario greco.
Il termine “satura” ha certamente un’origine latina, ma presenta una curiosa etimologia, ancora oggi controversa. Diomede, grammatico nel IV sec.d.C., offre diverse possibili spiegazioni in senso etimologico del termine “satura”: “a saturis”, perché in questo genere di poesia vengono dette cose buffe ed oscene, come fanno i satiri greci. Questa è certamente una falsa etimologia, ma interessante per il collegamento con il carattere licenzioso e comico dei satiri greci, esseri mitologici metà umani e metà caprini, in riferimento al tema del riso, come momento catartico e liberatorio; satura si può far derivare da “lanx satura”, ossia il “piatto misto” di primizie di campo e di orto, che veniva offerto nel tempio agli dei a scopo rituale; satura può provenire dall’espressione “a quodam genere faciminis”, ossia un ripieno gastronomico farcito di molti ingredienti, chiamato “satura”, secondo quanto scrive Varrone: si pensa a un pasticcio o ad un ripieno fatto di vari ingredienti, per esempio di selvaggina; satura può derivare da “lex per saturam”, ossia un provvedimento giuridico che comprendeva molte disposizioni di legge, con riferimento alla varietà dei temi trattati.
Oggi non sappiamo ancora quale di queste possa essere l’etimologia vera, anche se la più attendibile sembra essere quella di derivazione dal linguaggio gastronomico, ma possiamo con certezza affermare che l’origine del termine “satura” sia all’insegna della varietà ed eterogeneità delle forme (prosa e versi, metri di vario tipo) e dei temi trattati (sfoghi personali, scene di vita quotidiana, riflessioni morali e politiche, considerazioni letterarie, attacchi feroci agli avversari). Insomma, una forma d’arte antichissima, ispirata alla libertà dei motivi e dei linguaggi, espressione fra le più alte della nostra libertà di pensiero e di parola, come tratto caratteristico della nostra civiltà letteraria e della nostra cultura occidentale.