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Chi fa da sé... Gli italiani riscoprono l’autoproduzione

Chi fa da sé... Gli italiani riscoprono l’autoproduzione

Dopo la crisi economica, sempre più persone scelgono di produrre in casa cibi, cosmetici e vestiti. Una scelta che non è solo questione di risparmio

In questi anni di crisi economica, nuovi stili di vita hanno fatto capolino all’orizzonte anche nella nostra penisola. Si tratta di piccole esperienze alternative, nate dal basso, che propongono un’economia pratica e uno stile di vita più semplice, lontano da centri commerciali e dalle vetrine, che prende spunto da una quotidianità dimenticata quella dei nostri nonni.

Tra queste esperienze, si colloca anche la pratica dell’autoproduzione, termine con il quale si definiscono i beni o i servizi che vengono realizzati in proprio da singoli o da gruppi e che quindi, di fatto, non è più necessario acquistare.

Si parla di autoproduzione, per esempio, per le marmellate fatte in casa, per le piccole riparazioni domestiche, per la confezione di vestiti a mano, per la coltivazione di orti e infine per le pratiche volte all’indipendenza energetica a livello domestico.

Una realtà in crescita

L’autoproduzione, che quindi raggruppa una miriade di esperienze diverse, è una realtà variegata e difficile da quantificare, anche perché si sviluppa entro le mura di casa e non si presta dunque ad analisi statistiche su larga scala.

Tuttavia, mettendo insieme una serie di dati provenienti da ricerche a livello internazionale, nazionale e regionale, ci si rende conto che il fenomeno sta conoscendo una crescita notevole tra diverse fasce della popolazione e meriterebbe uno studio approfondito.

Un rapporto Coldiretti del 2013, per esempio, ha evidenziato un ritorno degli italiani all’autoproduzione di alcuni cibi sia con l’intenzione di ottimizzare il bilancio familiare, sia con la speranza di mangiare prodotti più sani.

Un altro dato empirico che segnala la diffusione della pratica dell’autoproduzione è la nascita, sul web e in libreria, di manuali, blog e video che promuovono la produzione di alimenti, come il pane preparato con la pasta madre, conserve fatte in casa ma anche saponi, dentifrici, creme e prodotti per l’igiene domestica.

La rinascita degli orti urbani

Il fenomeno legato all’autoproduzione più facile da censire, però, è senz’altro quello degli orti urbani, con cui s’identificano gli appezzamenti di terra coltivati entro un raggio di 20 km da una città e che negli ultimi anni hanno conosciuto un vero e proprio boom in Italia e in Europa.

I giardini coltivati in città, in effetti, si conoscevano in Italia già dai tempi del fascismo quando erano utilizzati dal regime come strumento di propaganda dell’autosussistenza autarchica in vista della Seconda guerra mondiale.

Anche negli Stati Uniti e in Francia, negli stessi anni, gli orti urbani assicuravano frutta e verdura alla popolazione in gravi difficoltà.

Tuttavia, negli anni del boom economico, la coltivazione urbana ha conosciuto un declino inarrestabile che sembra essersi fermato solo in questi ultimi anni.

Nel 2015 uno studio condotto dalla rivista scientifica “Environmental Research Letters” ha infatti calcolato che gli orti urbani occupano a livello mondiale una superficie pari all’intera Unione Europea, mentre in Italia secondo la Coldiretti, i garden metropolitani dal 2011 al 2013 sono triplicati passando da 1,1 milione a 3 milioni di metri quadri occupati.

Secondo il Censis, il 46,2% degli italiani cura un orto e l’Istat ha specificato che la maggior parte delle coltivazioni cittadine si trova nel nord-ovest d’Italia dove sono presenti nel 72% delle città.

Ma perché autoprodurre?

Secondo la letteratura sul tema, i motivi della diffusione dell’autoproduzione sono da rintracciare nella crisi economica del 2008.

Vedendo eroso il proprio potere d’acquisto, infatti, le famiglie avrebbero cercato un modo alternativo (ma più economico) per mantenere il proprio stile di vita e continuare a mangiare prodotti di qualità, biologici o provenienti da filiera corta.

In questo senso, lo studioso Manuel Castells non ha dubbi e sostiene che gli autoproduttori non sono operai o contadini, ma appartengono alla classe media e svolgono professioni intellettuali.

L’aspetto del risparmio ha giocato senz’altro un ruolo fondamentale nella rinascita dell’autoproduzione e di altre forme alternative al consumo (che vengono raggruppate dagli esperti nella categoria di “economia solidale”), ma non è l’unico motivo che ha spinto le persone a rimboccarsi le maniche.

Un’economia condivisa

Da una recente ricerca sugli orti urbani della città di Monza e dalle testimonianze raccolte è emersa la voglia da parte degli autoproduttori di recuperare una competenza tecnica e manuale che si è progressivamente persa negli ultimi decenni.

L’antropologo Stefano Boni ha parlato a questo proposito di “perdita del callo”, proprio per indicare la progressiva incapacità manuale che caratterizza lo stadio attuale dell’evoluzione umana l’“homo comfort”, come lo definisce lo studioso, che rifugge la fatica e delega alle macchine anche i compiti più elementari.

Oltre a recuperare la capacità manuale, però, chi autoproduce ha il desiderio di costruire, attraverso la partecipazione a economie non monetarie, una socialità andata perduta in una società sempre più individualista e disgregata.

Non è un caso che l’amministrazione comunale di Monza stia puntando energie e risorse soprattutto sulla realizzazione di “orti condivisi”, ovvero di terreni coltivati insieme da gruppi di persone che poi dividono il raccolto.

Proprio il fatto di non ragionare più in termini di mercato e profitto è la forza delle economie solidali e dunque anche dell’autoproduzione, che – basandosi su una logica umana e promuovendo tra i cittadini cooperazione, mutuo aiuto e integrazione – sembra avere trovato la chiave del successo.

Ilaria Beretta

 

Autoproduzione: cioè?

Con autoproduzione s’intende il produrre da soli alcuni o tutti gli oggetti/risorse che rispondono ai propri bisogni senza dover ricorrere all’acquisto. A differenza del bricolage, l’autoproduzione viene praticata per la sussistenza e non solamente come passatempo. Rispetto ai principi del Do-It-Yourself nato in Gran Bretagna all’interno del movimento punk negli anni Settanta che promuoveva la nascita di un’editoria indipendente e il fai da te creativo, l’autoproduzione si concentra su ambiti familiari di produzione, come quello alimentare, energetico o cosmetico. La sostituzione dell’acquisto con la creazione personale non solo sottrae progressivamente il consumatore dalle dinamiche di mercato, ma favorisce il ritorno a una manualità altrimenti scomparsa. Oltre all’aspetto economico (un prodotto realizzato con materie prime è più conveniente rispetto a uno proveniente da intermediazioni commerciali), l’autoproduzione propone uno stile di vita diverso da quello della società dei consumi, invita a una maggiore sobrietà nell’acquisto e restituisce una consapevolezza civica a chi la pratica. 

Ottobre 2016

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