Ormai, nuotiamo in oceani di plastica
E si parla veramente di ogni cosa: dallo shampoo allo spazzolino, dalle brioche all’acqua, dai cappelli alle scarpe, dagli occhiali ai braccialetti, dalle biro ai dispositivi elettronici. Certo, ogni cosa ha una propria “vita”, più o meno estesa; però, altrettanto, ogni cosa richiede di essere eliminata e smaltita e, sovente, riciclata.
Tutti noi siamo oramai a conoscenza dei progressi raggiunti sulla strada della sostenibilità: dal fatto che dalle bottiglie si producano fibre per capi di abbigliamento, al fatto che il riuso degli oggetti stessi, al di là dei materiali, eviti alcuni sprechi etc. Ma è davvero così sostenibile questa “vita di plastica”?
Un colpo d’occhio
I rapporti dicono di no. Tant’è vero che, giornalmente, vengono forniti dati allarmanti su ciò che realmente accade nel globo terracqueo: questi rapporti danno la misura della vera e propria invasione della plastica, oltre a rammentare la costante espansione della Great Pacific Garbage Patch - un’enorme isola di rifiuti di plastica, coagulatasi negli ultimi cinquant’anni in mezzo all’Oceano Pacifico, e di cui l’estensione è stimata oggi in un decimo dell’area complessiva dell’oceano stesso - e del suo “arcipelago” esteso anche al Mar Mediterraneo.
La “capillare” diffusione di microplastiche all’interno dei mari è causata tanto dai lavaggi degli indumenti quanto dalle degradazioni delle plastiche galleggianti e la sua entrata nella catena alimentare attraverso l’ingestione delle microplastiche da parte della fauna marina, che poi finisce sulle nostre tavole. Inoltre, si pone l’accento su un vero e proprio soffocamento degli oceani: un documento del Programma ambientale delle Nazioni Unite dichiara che - mantenendo gli attuali ritmi di produzione, in costante incremento - la massa della plastica riversata negli oceani, nel 2050, supererà quella di tutti i pesci che è, invece, in costante decremento. Una dichiarazione molto forte.
Sostenuta, purtroppo, dai dati: basti pensare che la massa delle microplastiche - pari a circa l’8 per cento della massa totale delle plastiche galleggianti - sorpassa, ormai, il chilogrammo per chilometro quadrato; Greenpeace sottolinea peraltro che queste microplastiche non chiedono il permesso per invadere nemmeno le aree marine protette, che, a loro volta, raccolgono decine di migliaia di pezzi di plastica galleggianti.
Un colpo di mano
Risulta evidente la necessità di una revisione degli stili di vita. Naturalmente, dare un freno a questo circolo - o ricircolo - vizioso è molto difficile. Però, se vogliamo, possiamo esercitarci ogni giorno al riciclo e al riuso: ognuno, individualmente, sia capace di prestare attenzione ad acquisti, utilizzi e smaltimenti; di renderli sostenibili e poi di diffondere buone abitudini.
Nel concreto, oltre a premere sui produttori di plastiche e oggi in plastica per allertarli sui pericoli di questi palesi squilibri ambientali e spingerli a un drastico cambio di rotta, è indispensabile adottare da parte di noi consumatori modalità di consumo consapevoli e accorte riguardo l’uso dei prodotti usa e getta in primis e, contemporaneamente insieme, al riuso di tutti gli oggetti che lo consentono.
Andrea Emilio Orsi