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Amazzonia a rischio Covid. E aumentano ancora gli incendi

Amazzonia a rischio Covid.

Indigeni e tribù mai come ora a rischio di estinzione. La foresta brucia sempre più: da 7.855 incendi nel 2019 a oltre 17mila nel 2020

«Esiste un grosso rischio che il coronavirus si diffonda tra le comunità indigene della Foresta Amazzonica provocando un genocidio»: il monito era stato lanciato già lo scorso marzo da Sofia Mendonça, ricercatrice dell'Università di San Paolo che ha comparato gli effetti dell'epidemia con quelli di altre malattie infettive, come il morbillo, introdotte nella foresta in passato e che ebbero effetti devastanti. Non solo le popolazioni indigene sono più vulnerabili, ma non dispongono nemmeno dei metodi utilizzati per ridurre il contagio: mascherine, sapone o alcool sono pressoché inesistenti in molti villaggi, per non parlare di respiratori, ossigeno o semplicemente della possibilità di essere curati o trasportati in ospedale. Purtroppo la speranza che il virus non raggiungesse le comunità si è presto dissipata e le parole di Mendonça risuonano ora come una triste profezia.

Le tribù incontattate rischiano l'estinzione

Se una parte di indigeni che vive in Amazzonia è in qualche modo rintracciabile e contattabile, ci sono anche decine e decine di gruppi in isolamento totale, che non hanno o non hanno mai avuto alcun contatto con le autorità: i territori abitati da queste popolazioni sono quelli più ambiti da cacciatori, taglialegna, cercatori e missionari che possono veicolare il virus perché sono le ultime vere aree di foresta vergine rimaste.

Il mese scorso, il leader del popolo Kanamari ha spiegato che il coronavirus si è diffuso nella valle Javari, il secondo territorio indigeno più grande del Brasile nonché luogo con la più alta concentrazione di tribù incontattate al mondo.

Queste tribù non hanno difese immunitarie verso le malattie importate dall’esterno e sono quindi estremamente vulnerabili. «Sin dall’inizio abbiamo denunciato l’avanzata del coronavirus nelle terre indigene e i rischi di contaminazione nei nostri territori - ha dichiarato recentemente in una nota la COIAB, l’organo di coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana - Ora siamo sull’orlo del disastro. È una lotta quotidiana per la sopravvivenza, non solo per il Covid ma anche perché le leggi vengono smantellate, la demarcazione e la protezione dei nostri territori bloccate, le nostre terre e le nostre vite vengono prese di mira, i nostri leader vengono assassinati e il governo federale sta adottando misure anti-indigene».

La paura è che il governo Bolsonaro, da sempre dichiaratamente ostile agli indigeni, possa approfittare dell'epidemia. Come nel resto del mondo infatti, a morire sono soprattutto i più anziani, ma per le comunità indigene questo ha conseguenze ancora più gravi perché gli anziani sono i leader delle comunità e i depositari della loro storia e del loro sapere, che si tramanda solo in forma orale. La scomparsa prematura di queste persone comporterebbe una perdita irreparabile per il patrimonio culturale della loro comunità e dell'umanità intera.

Intanto l'Amazzonia continua a bruciare

I territori delle tribù indigene sono presi di mira da accaparratori di terra, trafficanti di legname e imprenditori agricoli, incoraggiati dall’aperto sostegno del governo. Non è infatti un caso che la foresta stia bruciando a un ritmo maggiore di quanto succedeva un anno fa, quando gli occhi di tutto il mondo erano puntati sul polmone verde del pianeta. Ora che l’attenzione mediatica è tutta concentrata sulla gestione della pandemia, la devastazione dell’Amazzonia può continuare indisturbata: rispetto a ottobre 2019, gli incendi sono più che raddoppiati, passando da 7.855 a 17.326. I satelliti dell’Istituto Nazionale per la Ricerca evidenziano una situazione preoccupante soprattutto per quanto riguarda la regione paludosa di Pantanal, una delle aree più ricche di biodiversità del pianeta. Solo ad ottobre sono stati accesi 2.856 incendi nella regione, una cifra record che non si era mai registrata mensilmente in 30 anni di monitoraggio. E se mai come ora abbiamo sentito impellente il bisogno d'ossigeno, gli occhi dovrebbero restare ben aperti sul polmone del pianeta e sui suoi custodi.

Arianna Corti

Febbraio 2021

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