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Abitare la sostenibilità

Editoriale gennaio febbraio

Il termine abitare ha la stessa radice etimologica di habitus e habitat, abito, abitudine, ciò che si indossa tutti i giorni, che si vive quotidianamente, non eccezionalmente.

E sono forse le nostre case, uffici o scuole i luoghi dove trascorriamo il tempo maggiore delle nostre vite, delle nostre giornate, per mesi e anni.

Eppure sono questi stessi edifici la prima causa dell’inquinamento atmosferico e ambientale, seguita solo in seconda battuta dall’industria e infine dai trasporti: questo il podio secondo il rapporto 2014 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA).

Tra le cause maggiori del degrado ambientale e della qualità dell’aria che respiriamo ci sono pertanto i consumi spesso non ottimali delle nostre abitazioni, uffici, negozi, fabbricati, condomini e giardini: se fossero adeguati e ristrutturati secondo le nuove potenzialità dell’efficientamento energetico queste azioni potrebbero da sole diminuire sensibilmente l’inquinamento nelle nostre città e l’impatto ambientale complessivo sul pianeta, riducendo le emissioni climalteranti provenienti da fonti fossili.

Non si può dire ormai che questa consapevolezza non si stia diffondendo tra il grande pubblico: il concetto di sostenibilità è sulla bocca di tutti, è un’aspirazione probabilmente vera e autentica per molte persone che desiderano una prospettiva di coabitazione armoniosa della società con il pianeta e con la natura.

Ciò che è difficile però è far seguire le azioni alle intenzioni.

È difficile portare nelle abitudini di noi singoli cittadini e famiglie le pratiche che vorremmo fossero seguite a livello globale dalle nazioni, dalle istituzioni, dalla massa dei cittadini e, soprattutto, dagli altri.

Un sostrato di abitudini, comodità e convenienze, più mentali che reali, ostacolano cambiamenti concreti nelle nostre piccole azioni di ogni giorno: come vado al lavoro, quanto riscaldo la casa o l’ufficio, cosa scelgo di mangiare e quanto mi impegno a risparmiare l’energia che consumo. Includendo cellulari, computer ed elettrodomestici tecnologici che diamo per scontato debbano essere sempre onnipresenti e a disposizione.

Perché cerchiamo sempre avidamente un parcheggio vicino al negozio o perché non ci decidiamo a cambiare quel serramento che disperde inutilmente tanto calore?

Sono giuste le domeniche senz’auto, ma che seccatura!

Ok la bici ma poi se piove? Quest’inverno non ha quasi mai piovuto, ma le nostre abitudini automobilistiche così radicate e un’innata inerzia contraria a qualsiasi cambiamento concreto previene persino le buone intenzioni e supera le stesse previsioni meteo.

Facile trovare alibi per ogni mancata decisione e ancora più facile guardare a quello che dovrebbero fare o decidere gli altri per contrastare questa deriva: possiamo criticare gli accordi presi a Parigi durante la Conferenza mondiale sul clima, a seconda di quali fossero le nostre aspettative.

Ma per favore, consideriamo come è difficile accordarsi solamente all’interno del proprio condominio su quali interventi eseguire, oppure quante decisioni vengono rinviate all’interno di una stessa famiglia per i più disparati motivi, dai tempi ai costi, alle alternative da considerare.

Possiamo allarmarci per l’emergenza smog e lasciare l’auto a casa se costretti dai provvedimenti, sempre inevitabilmente contestati, ma appena ci tolgono il divieto riprendiamo il consueto automobilismo di massa.

È ancora fresco il ricordo di “Un inverno caldo” (a proposito: mai titolo di infoSOStenibile fu più profetico, con lo scorso numero andato in stampa a fine novembre 2015), un inverno senza pioggia e vento che tra i tanti effetti collaterali ha lasciato intatte nell’aria tutte le polveri sottili che produciamo giorno per giorno grazie ai nostri immutabili stili di vita all’interno di città sempre più smart.

Tutti ne hanno parlato, mass media compresi, nella logica dell’emergenza, invocando danze della pioggia e innescando ennesimi dibattiti e critiche infinite, senza mai giungere a decisioni strutturali e permanenti.

Fare della sostenibilità la propria casa, il proprio abito costante, la propria abitudine convinta e continuativa è la sfida più impegnativa della nostra epoca.

Certo il coraggio della lungimiranza -anche a rischio di impopolarità- di chi ha l’autorità di decidere a livello pubblico dovrebbe essere un discrimine del bravo politico, ma il coraggio di scegliere personalmente cambiamenti delle proprie abitudini, anche quando non costretti da provvedimenti pubblici o dall’emergenza del momento, dovrebbe essere il discrimine di un’opinione pubblica meno ipocrita.

 

Diego Moratti

Febbraio 2016

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