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Verso il bio-distretto sociale

Verso il bio-distretto sociale

All’Happening delle Cooperative, la presentazione pubblica del processo di costituzione della prima rete dell’agricoltura bio-sociale lombarda

Si trovano ormai in quasi tutte le regioni d’Italia, dalla Sicilia al Trentino-Alto Adige e ne stanno nascendo sempre di nuovi.

Si tratta dei bio-distretti, aree geografiche nelle quali agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse locali, partendo dal modello biologico di produzione e consumo.

Un’idea partita dal Cilento nel 2009 e giunta, regione per regione, fino alla provincia di Bergamo, che ha recentemente assunto il ruolo di pioniera dando vita al primo distretto bio sociale della Lombardia. Al Lazzaretto di Bergamo, lo scorso 15 giugno, in occasione del Happening delle Cooperative Sociali, di fatto si è tenuta la prima presentazione pubblica dell’iniziativa.

L’evento è stato reso possibile dalla collaborazione fra Rete Agricoltura Sociale Lombardia, l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (AIAB), la Provincia di Bergamo e la Regione Lombardia stessa e ha fatto da preludio alla costituzione ufficiale del progetto, prevista per quest’autunno, che ha coinvolto finora una ventina di realtà del territorio bergamasco.

Agricoltura biologica ma non solo: questo tipo di aziende e di cooperative molto spesso sono attive anche nelle forme di inclusione sociale e lavorativa e per questa caratterizzazione il bio-distretto è stato denominato “sociale”.

Gli obiettivi di questa rete riguardano la valorizzazione di pratiche virtuose, già messe in atto dalle singole aziende agricole e cooperative, in modo da poter aumentare la risonanza delle proprie istanze e ottenere l’attenzione e il sostegno di enti e istituzioni.

Il bio-distretto dovrebbe fungere da vera e propria rete di sostegno alle aziende bio-sociali e costituire un centro servizi per le aziende agricole, in grado ad esempio di reperire risorse o di provvedere all’acquisto macchinari e strumentazione in condivisione, così come di altri prodotti e servizi facendo leva su una maggiore forza contrattuale.

Sinergie possibili anche nell’ambito della comunicazione e promozione, nonché per la partecipazione congiunta a gare d’appalto, mense scolastiche e servizi in generale.

Possibile anche il sostegno alla creazione facilitata di nuove start-up da parte di giovani imprenditori, magari coinvolti nei temi della sostenibilità fin dai primi anni dell’istruzione.

Determinante infine il coinvolgimento dei comuni e della Provincia di Bergamo, presente al tavolo di lavoro. Nonostante la messa in atto di un tale percorso si prospetti non semplice, Diego Forastieri coordinatore del progetto, si dichiara fiducioso: «l’iniziativa sta riscontrando una grande partecipazione da parte dei soci e anche di Comuni che chiedono di entrare nel bio-distretto. Stiamo lavorando da circa un anno tra mappatura e organizzazione, ma avremo la necessità di essere molto concreti fin da subito.

Anche nel rapporto con imprenditori agricoli, perché l’unica criticità è l’ambizione stessa del progetto: quella di mettere in rete le varie organizzazioni del territorio e farle lavorare insieme, concretamente e operativamente».

«Il progetto di bio-distetto sociale assume ancora più importanza se lo collochiamo all’interno di un dibattito crescente –commenta Francesca Forno, docente dell’Università di Bergamo e studiosa di questi fenomeni sociali, nell’ambito del consumo critico e dei rapporti tra cibo e territori-. Si tratta della messa in pratica, sul territorio bergamasco, di un nuovo modo di pensare che sta coinvolgendo sempre più persone.

Sempre di più si prende consapevolezza dell’importanza di riconnetterci ai luoghi in cui viviamo come fonte del cibo che mangiamo, dell’acqua che beviamo e dell’aria che respiriamo. Sul buon esito di questo progetto conterà molto la sua capacità di sapersi mettere in rete con altre esperienze che hanno contribuito alla diffusione di questa nuova cultura.

Il periodo sembra propizio e favorevole e va sfruttato perché – così come accade in altre città italiane – queste espressioni spontanee stanno trovando un importante alleato nelle istituzioni e nelle comunità locali, favorendo il ricongiungimento dei propri cittadini con la terra, le proprie colture, i propri paesaggi attraverso progetti di filiera corta e il consumo responsabile».

Irene Triggiani

Diego Moratti

Luglio 2016

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