Luciano Valle racconta l’enciclica attraverso i suoi “Percorsi sulla teologia della Creazione dai Padri della Chiesa alla Laudato sì”
Non c’è dubbio che un testo dirompente come l’enciclica “Laudato Sì”, pubblicata il 18 giugno 2015, abbia suscitato clamore intorno a sé, sia per la scottante attualità delle tesi esposte che per i severi biasimi indirizzati ai maggiori responsabili dell’emergenza ambientale.
La lucidità e l’intransigenza che sostengono l’esposizione della quaestio sorprendono i lettori, siano essi laici o credenti.
Nelle sue 192 pagine la lettera papale fotografa lo stato di degrado del pianeta dialogando senza inibizioni tanto con la scienza quanto con la plurisecolare tradizione filosofica cattolica al fine di elaborare un nuovo paradigma ecologico all’altezza delle sfide contemporanee.
Nonostante la dissertazione di papa Bergoglio mantenga un registro popolare (e non potrebbe essere diversamente a fronte della fervida ispirazione francescana che l’anima), per addentrarsi a fondo occorre disporre di adeguati strumenti d’interpretazione.
Ed è proprio questo il proposito del libro “Papa Francesco e l’ambiente. Percorsi sulla teologia della Creazione dai Padri della Chiesa alla Laudato si’”, l’ultimo saggio di Luciano Valle - filosofo, formatore e presidente del Centro di Etica Ambientale bergamasco - edito da Ibis, progettato per decodificare e illustrare il messaggio del Santo Padre.
L’impresa viene portata a termine attraverso un’erudita analisi del sapere su cui si basa l’enciclica, così da dotare il lettore di una traccia interpretativa particolareggiata ed esauriente.
«Il documento si propone innanzitutto di stilare un bilancio ed una critica della modernità, invitandoci ad attraversarla per rimettersi in viaggio - afferma Luciano Valle -. La modernità va rifondata, il mondo avrà un futuro solo se adotta un paradigma neo francescano, cioè una nuova antropologia: rifondare l’umanesimo, l’uomo, ridare spazio all’amore per il creato».
Mette subito le cose in chiaro il professor Valle all’esordio di un’intervista tramutatasi quasi subito in appassionato simposio. «Il cuore dell’enciclica è rintracciabile nell’introduzione e nelle due preghiere finali, dove l’indagine della natura viene descritta come studio dell’oîkos, cioè di una casa comune.
Un’altra pietra angolare dell’opera è la nozione di ecologia integrale, attraverso la quale è possibile comprendere che le fragilità del pianeta sono intimamente connesse alle iniquità socio-economiche», continua Valle, fornendo lo spunto per trattare il tema della presa di distanza dal paradigma economico liberista, improntato a logiche di consumo insostenibili, a una mercificazione illimitata dell’esistente che scava voragini fra élite e sfruttati.
Come conciliare tali conclusioni con la matrice occidentale della Chiesa? È dunque possibile coniugare profitto e fede? «La rivoluzione culturale promulgata dal Papa è ancor più radicale, perché ambisce innanzitutto all’abbandono del dominio dell’uomo sul mondo nelle dimensioni logiche, tecniche economiche e politiche, e a un rifiuto del primato utilitarista della prassi, un dogma adottato sia dal marxismo che dal puritanesimo calvinista».
Ma quali sarebbero gli esiti dell’auspicato sovvertimento? «Si compirebbe allora la fondazione di una nuova antropologia che ridarebbe spazio alla contemplazione del creato, a un’apertura estatica al mistero delle cose, un atteggiamento imprescindibile per ripensare il nostro essere nel mondo fraternizzando col creato.
Il neo-francescanesimo su cui fa leva Bergoglio - continua Luciano Valle - avversa i semplicismi di un ecologismo superficiale, egli ci parla di ecosofia e di pentecostalismo cosmico: empatia, comprensione reciproca col creato, perché il lume divino risiede anche nel granello di polvere. Ricordiamo il fraticello di Assisi quando portava vino alle api per difenderle dal rigore dell’inverno».
Da dove parte il rovesciamento dello status quo? Valle non sembra riporre troppa fiducia nelle leve politiche attuali: «È doveroso ripartire dalle scuole, dalla formazione. La nuova resistenza allo sfacelo dell’ecosistema terrestre sorge dalla responsabilità individuale, anche se questo passaggio richiederebbe il coordinamento di una classe dirigente capace e risoluta».
Davide Albanese