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Lodi: ambiente, storia, reportage al Festival della fotografia etica

Lodi: ambiente, storia, reportage al Festival della fotografia etica

Successo per il festival silenzioso che scuote le coscienze. Tra i temi caldi della decima edizione anche l'ambiente

Giunto alla sua decima edizione, il Festival della Fotografia Etica di Lodi sancisce un percorso che lo ha portato a essere un punto di riferimento riconosciuto all’interno del panorama europeo dei festival di fotografia.

Un percorso che ne ha plasmato un’identità precisa forte, mossa dalla volontà di raccontare attraverso le immagini cosa succede oggi nel mondo, e di farlo con un obiettivo molto semplice: “creare un circuito virtuoso in grado di permettere alla fotografia di arrivare al pubblico e porre delle domande alle coscienze”. Dal 5 al 27 ottobre 2019 la rassegna internazionale si è data l’obiettivo di «diffondere sempre più il linguaggio fotografico tra i non addetti ai lavori».

L'hanno affermato Alberto Prina e Aldo Mendichi che, con il Gruppo Fotografico Progetto Immagine, organizzano la manifestazione: «Il successo e la partecipazione sempre crescenti premiano la scelta di raccontare il mondo con immagini attraverso il filtro dello sguardo di fotografi pluripremiati».

Gli spazi del festival hanno ospitato come ogni anno varie tematiche, dall’ambiente alla storia, dai reportage ai trattati.

“Mare Mostrum”

Lo Spazio Tematico - quest’anno dedicato all’Italia - ha ospitato reportage e lavori realizzati da fotografi italiani nel nostro paese.

Tra di essi, Marco Valle ha portato il suo lavoro “Mare Mostrum”, una riflessione sul futuro della costa italiana e più in generale sulla relazione che intercorre oggi giorno tra l'ambiente naturale e l'uomo: il mare e le spiagge sono un simbolo identitario dell’Italia che, con i suoi settemila chilometri di costa, rappresenta il cuore del Mediterraneo, meta ogni anno per migliaia di turisti.

Questo delicato ecosistema, capace di produrre vita e ricchezza, sta lentamente scomparendo sostituito da una incessante cementificazione fatta di caseggiati, aree industriali e strutture balneari che privatizzano di fatto un bene che dovrebbe essere collettivo. Secondo il rapporto dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) dalla metà degli anni ’80 ad oggi sono finiti sotto il cemento 220 chilometri di costa, al ritmo di circa 8 chilometri l’anno, cancellando metro dopo metro spiagge, dune, scogliere, talvolta lasciando dietro di sé strutture incompiute e degrado.

Le analisi microbiologiche condotte dalle associazioni non governative e le diverse procedure di infrazioni aperte nei confronti dell’Italia dalla Commissione Europea dimostrano inoltre che moltissime spiagge altamente frequentate sono – o potrebbero essere – di fatto inquinate da scarichi fognari non depurati.

Elisa Troiani

Novembre 2019

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