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Greenwashing e futuro: come le aziende si lavano la coscienza

Greenwashing e futuro: come le aziende si lavano la coscienza

La riflessione di Fridays For Future Bergamo sulle aziende che propongono messaggi green, pur non essendolo affatto

Il greenwashing è una pratica con la quale le aziende cercano di attirare il consumatore veicolando una falsa immagine di sé, quale azienda attenta alla sostenibilità ambientale dei processi produttivi o dei prodotti stessi. In molti casi, si tratta anche di un modo per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

Uno dei maggiori esempi di greenwashing in Italia è Eni: se nelle pubblicità appare come un'azienda molto attenta all'ambiente, nella realtà gli investimenti per i prossimi anni sono ancora per la stragrande maggioranza nei combustibili fossili. Nel gennaio di quest'anno Eni ha anche preso una multa di 5 milioni di euro per pratica commerciale ingannevole in merito alla pubblicità “ENIdiesel+”, che ha inondato giornali, televisione, radio, cinema, web e stazioni di servizio dal 2016 al 2019.

La decisione riguarda il messaggio, dichiarato ingannevole, di un diesel bio, green e rinnovabile, derivante dall'olio di palma che «riduce le emissioni gassose fino al 40%». Eppure utilizzare olio di palma per produrre carburante non può essere la soluzione, perché la sua produzione causa la deforestazione in Paesi come l'Indonesia e la Malesia. Un altro esempio di greenwashing da parte di Eni è lo spot che invita Chiara a usare la macchina il meno possibile per poter fare la differenza. Quest’idea è pericolosa, perché sottintende l’idea che la capacità di incidere sul riscaldamento globale del singolo e di una multinazionale sia identica. I buoni comportamenti individuali sono necessari, è vero, ma non arrivano neppure lontanamente a “pareggiare” i danni causati da grandi aziende.

Eni, per quanto riguarda il greenwashing, è una multinazionale tra tante. Però è pur sempre un’azienda in cui il socio di maggioranza (relativa) è lo Stato italiano, che dovrebbe promuovere un cambio di rotta reale, deciso e immediato verso la sostenibilità ambientale. 

Laura Bertazzoni - Fridays For Future Bergamo

 

Il Libano tra crisi economica e ambientale 

4 agosto 2020, Beirut. Una doppia esplosione devasta il porto. 200 morti e 7mila feriti. 300mila gli sfollati a causa di questo tragico evento. La situazione economica del Libano fin da prima dell’esplosione non era positiva e ciò che è successo ha reso il crollo dell’economia ancora più rapido: entro fine anno il 60% della popolazione sarà sotto la soglia di povertà. Il crollo è dovuto soprattutto a un sistema politico istituzionale profondamente corrotto, che già nel 2019 aveva intrapreso una serie di riforme economiche e finanziarie che avevano impoverito la classe media.

Tutto questo si somma all’emergenza ambientale, denunciata già dal 2015, che riguarda temi come la cementificazione, la deforestazione e la contaminazione delle fonti idriche. In particolare, il Libano risulta essere uno tra gli stati con la peggior gestione dei rifiuti: ad oggi le discariche libanesi non riescono più a gestire l’ammontare di rifiuti prodotti dal paese. Un sistema di economia circolare e di riciclo non è neanche considerato, nonostante numerose associazioni (tra cui Greenpeace) chiedano una vera riconversione ambientale, verso fonti di energia pulita e una politica non corrotta. 

Mattia Bergamelli - Fridays For Future Bergamo

 

 

Febbraio 2021

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