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Come difendersi dagli attacchi maschili in ufficio

Come difendersi dagli attacchi maschili in ufficio

Ecco i consigli tratti da "Feminist Fight Club. Manuale di sopravvivenza per le ragazze che lavorano" della scrittrice Jessica Bennett

Devi essere gentile (perché le donne sono gentili!) ma non troppo gentile (vorrai mica passare per zerbino?). Sii materna (la naturale funzione di cura) ma preferibilmente non mamma (sennò pensano che sul lavoro non ti impegni). E ancora, devi essere sicura di te quanto basta per ottenere rispetto, ma non troppo sicura di te (le sfacciate sono antipatiche, lo sanno tutti).

È il decalogo mai scritto ma ben sedimentato a cui si sottopone ogni lavoratrice, anche se il fenomeno è più evidente all’interno di grandi realtà, a un livello medio-alto, in ambienti creativi e dinamici. Perché già è difficile lavorare e magari diventare dirigenti, ma una volta raggiunto il traguardo non è tutto rose e fiori: spesso, a parità di mansione e preparazione, le donne sono vittima di sessismo. Lo dicono i dati (dal gender pay gap, cioè la disparità in termini di retribuzione tra uomini e donne, che in Italia oscilla attorno al 5,5%, al numero di donne a capo di un'azienda, solo il 22%), e lo ricorda il libro “Feminist Fight Club. Manuale di sopravvivenza in ufficio per le ragazze che lavorano” (Editore Salani) di Jessica Bennett, la prima gender editor del "New York Times" che, nell’era dello scandalo Weinstein, ha scelto di concentrarsi non su violenze e stupri, bensì su discriminazioni e atteggiamenti minori ma comunque ingiusti.

Fare squadra contro il sessismo

«Il sessismo odierno è insidioso, disinvolto, politicamente corretto e addirittura amichevole – scrive la Bennett - Qualche esempio? È sessista l’uomo che si rivolge istintivamente a una donna perché prenda appunti durante una riunione, che la interrompe senza motivo o attribuisce la sua idea a qualcun altro, le chiede di andare a prendere il caffè e si abbandona a pesanti apprezzamenti. Azioni che non si sognerebbero mai di riservare ai colleghi».

Ed è proprio questo il punto. Attenzione però a non colpevolizzare solo l’altro sesso. A volte, infatti, siamo noi stesse a mettere in atto una serie di comportamenti di cui dovremmo liberarci, dalla tendenza ad autosabotarci al sentirci sempre in conflitto con il mondo, comprese le altre donne

. «La competizione è molto comune - ha spiegato l’autrice in un’intervista -. Una volta entrate nel mondo del lavoro abbiamo cominciato a lottare una contro l’altra per i pochi posti ambiti. La soluzione? Avere più chance per non doverci spartire quella piccola fetta di torta. Ma anche capire che insieme facciamo più strada».

Il trucco è quindi fare gruppo, concentrandoci su ciò che ci unisce piuttosto che sulle differenze di età, peso, abbigliamento, situazione sentimentale e familiare. Lo hanno sperimentato la Bennett e amiche anni fa, quando hanno fondato il Feminist Fight Club, un’alleanza ma soprattutto un momento durante il quale “sparlare” di lavoro, sfogarsi, capire cosa fare. Il FFC si batte per la parità salariale e per i permessi familiari retribuiti, ma anche per infondere fiducia alle "iscritte".

«Abbiamo la tendenza a dubitare di noi stesse. Si chiama ‘sindrome dell’impostore’ e ci colpisce in modo spropositato: consideriamo ogni cosa una sfida, la pressione diventa enorme perché pensiamo di non essere all’altezza del compito che ci hanno affidato. Di non meritarcelo». Timori con i quali ognuna di noi combatte. La notizia però è che siamo in buonissima compagnia. A pensarlo, e il libro lo ricorda, sono anche mostri sacri come Jodie Foster, Michelle Obama e Meryl Streep, che ha rivelato di porsi sempre la stessa domanda: «Chi mai vorrà vedermi in un nuovo film? Tanto di recitare non sono capace, quindi perché lo faccio?».

Sesso debole... Ma davvero?

Se anche le migliori si sentono insicure, il problema prima che numerico è dunque culturale: siamo il prodotto di secoli in cui siamo state il “sesso debole”, esortate a stare al nostro posto e a non prenderci alcun merito. Uno studio della psicologa Carol Dweck rivela che fin dalle scuole elementari le bambine, e in particolare quelle con il QI più alto, tendono a rinunciare agli obiettivi più velocemente dei maschi.

Questa paura non diminuisce con l'età, soprattutto negli ambiti a prevalenza maschile nei quali il contributo delle donne tende a essere giudicato con più severità.

Ecco perché il volume della Bennett, oltre ad essere una raccolta di esperienze e citazioni, è anche un manuale con consigli, trucchi, piccole strategie per reagire. Si va dallo stare seduta con la schiena dritta così da sembrare più sicura all’arrivare prima alle riunioni per prendersi i posti migliori, dalle frasi da usare in un colloquio (le statistiche dicono che una donna si candida per un posto di lavoro solo se ritiene di avere tutte le qualifiche necessarie, neanche una di meno; l'uomo si candida anche se ha solo il 60% dei titoli) al come prepararsi bene su una specifica tematica.

Ne è convinta anche Christine Lagarde, citata nel libro: «Quando affronto una determinata questione prendo in esame il dossier da dentro, da fuori, di lato, a ritroso, dal punto di vista storico, genetico e geografico. Voglio sapere tutto per capire, e per non farmi ingannare da nessuno».

Se lo fa lei, dal 2011 alla direzione di una realtà ad alto tasso di testosterone come il Fondo Monetario Internazionale, possiamo fidarci. E imitarla.

Michela Offredi

Ottobre 2018

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