In un libro d’inchiesta curato da Giannandrea Mencini, la minaccia di monoculture, pesticidi, rischi ambientale e sociali per le terre alte
Infinite distese di meleti. File su file di vigneti in zone dove fino a poco tempo fa si produceva altro. E ancora, sterminati campi di noccioleti anche in aree non vocate per questa coltura. Sono terre alte di monocolture e perdita di biodiversità quelle raccontate dal reporter Giannandrea Mencini nel suo ultimo libro-inchiesta, “Bio-avversità. Il vizio delle monocolture nelle terre alte” (edito da Kellermann), che l'ha portato a indagare tra le conseguenze ambientali, sanitarie e socioeconomiche della diffusione delle monocolture e del conseguente uso massiccio di pesticidi nelle montagne d'Italia. Un racconto, il suo, che unisce documentazione scientifiche e analisi ambientali, accorati appelli delle comunità coinvolte e riflessioni concrete sulle soluzioni possibili, oltre a testimonianze virtuose di realtà che invece, su quei territori, hanno saputo costruire strade alternative, efficaci, pulite, capaci di preservarne il patrimonio colturale e umano.
Mele, vigneti, nocciole
Il lavoro di Mencini – già autore dell'inchiesta “Pascoli di carta” dedicata alle speculazioni sugli alpeggi italiani - è partito da uno studio su alcuni documenti dell'Ispra che rimarcavano l'importanza di difendere la biodiversità dalla tendenza monocolturale di intere aree e gli enormi rischi connessi alla perdita di specificità biologiche locali: rischi ambientali, a causa della necessità di dosi massicce di acqua; rischi sanitari, causati dall'ingente utilizzo di pesticidi; e infine rischi in termini di standardizzazione e di perdita di un millenario patrimonio di conoscenze e varietà territoriali. «Tutto questo mi ha colpito molto» ammette il giornalista. «Non perché fossero cose che ignoravo, quanto piuttosto perché erano scritte lì, nero su bianco, su documenti ufficiali e consultabili da chiunque. Insomma, non era una problematica “nascosta”».
L'inchiesta di Mencini va quindi dai vigneti del Prosecco DOC, nella pianure veneto-friulana (dove una legge del 2009, ampliando la denominazione del Prosecco al di fuori della zona predisposta per la DOCG, ha favorito l'allargamento del business connesso al prodotto) ai meleti della bassa e media Val di Non trentina, per poi spostarsi nel viterbese e nelle zone attorno al Lago di Bolsena e al Lago di Vico, predisposte negli ultimi anni alla coltivazione della nocciola su larga scala per rifornire la grande industria dolciaria italiana “made in Italy”.
Le esperienze positive
Tuttavia, c'è luce in fondo al tunnel. Il giornalista, infatti, ha scelto di includere nel suo libro anche le esperienze positive di resistenza all'approccio monocolturale e di proposte alternative. Come è accaduto nel bellunese, dove un comitato molto attivo ha imposto che la maggioranza dei comuni del territorio applicasse regolamenti molto stringenti sull'uso della chimica in agricoltura, impedendo di fatto l'ampliamento dei vigneti a favore di tecniche di agroforestazione più efficaci. O come è accaduto nell'alta Val di Non, dove la raccolta di firme tra comuni e cittadini ha impedito l'impianto di nuove infrastrutture agricole e ha mantenuto intatto il paesaggio, incentivando un turismo di prossimità e recuperando vecchie produzioni locali. O ancora, ci sono gli esempi dell'azienda che nel viterbese produce ottima nocciola biologica, vendendola soprattutto all'estero per superare il monopolio italiano sul settore, o della realtà molisana di Castel del Giudice, dove si stanno recuperando antichi meleti biologici. «L'agricoltura oggi deve dare i conti con il cambiamento climatico» conclude Mencini. «Le alternative alla monocoltura esistono, sono efficaci, buone e salutari per ambiente e persone. È quella la direzione in cui andare».
Erica Balduzzi