L’industria volta pagina. Da adesso il riciclo della plastica diventa una politica aziendale
Per rispondere alla necessità di prevenire e diminuire l’impatto ambientale dei manufatti umani, il primo passo è comprendere il ruolo giocato dal mondo industriale, per poi intervenire sulla scelta progettuale che le aziende compiono al momento di confezionare i rispettivi prodotti.
Questo perché, dal 2012 in poi, la società tutta si è mostrata piuttosto unita nell’affrontare il problema della sovrabbondanza dei rifiuti, condizionando la commercializzazione di prodotti al loro utilizzo efficiente delle risorse, considerando anche che, al termine del loro ciclo di vita, potessero essere reimmessi nella filiera produttiva, lasciando il passo a nuovi manufatti “nati” dal riuso delle materie prime. Una semplice applicazione, la più diretta e fattibile della cosiddetta economia circolare.
Gli espedienti, trovati dalle aziende per contenere lo spreco e soprattutto la dispersione di materie prime come il vetro, la plastica e l’alluminio nell’ambiente, sono tra i più vari: dal deposito cauzionale per gli imballaggi, al vuoto a rendere per il vetro; provvedimenti doverosi che, però, di fatto, non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo di liberare l’ambiente dai rifiuti non biodegradabili. Per questo motivo si sta affermando l’idea di ripensare al futuro della plastica affidando all’industria la gestione e la valorizzazione economica di un nuovo mercato: quello dell’ecodesign.
Riprogettare, riusare e riciclare il packaging
Il piano d’azione per l’economia circolare, redatto dalla Ellen MacArthur Foundation, conscia del fatto che – ogni anno, a livello globale – solo il 14% del packaging viene raccolto e riciclato, pone l’obiettivo di recuperare il 70% degli imballaggi di plastica e di trovare una soluzione sostenibile per lo smaltimento del restante 30% che, per diversi motivi, non può essere riutilizzato.
Il piano d’intervento derivato dallo studio della fondazione statunitense ha lanciato le linee guida per la lavorazione della plastica concentrandosi sulla riprogettazione, il riuso e il riciclo di uno specifico segmento del mercato del packaging: dalla riprogettazione degli imballaggi a quella dei modelli distributivi, si sono ottenuti risultati sorprendenti, soprattutto per quella fetta di materiale plastico altrimenti non riciclabile.
Una tipologia, quest’ultima che comprende, per esempio, i flaconi per cosmetici e integratori alimentari; i contenitori di piccolo formato, come le pellicole per le merendine e i tappi di bottiglia; gli imballaggi composti da materiali eterogenei o quelli contaminati, come i contenitori per i fast-food; ma anche i materiali quali il PVC e il polistirene espanso.
Una categoria che, se reintrodotta nella filiera industriale, consente un abbattimento dei costi di produzione, differentemente dal 10% delle plastiche poco usate per gli imballaggi, come il PVC e l’EPS, che non possono avviare un riciclo sostenibile nell’ottica delle economie di scala.
Il piano d’azione “The New Plastic Economy” (NPE), sostenuto da soggetti prevalentemente industriali, è stato lanciato per aumentare l’attitudine al riciclo e per introdurre nuovi modelli di economia circolare nella produzione, utilizzo e smaltimento del packaging. A monte, una complessa e indispensabile fase di progettazione si avvale di strumenti di valutazione e di azione come il Life Cycle Assessment, l’analisi del ciclo di vita e il Life Cycle Thinking, che tiene conto sin da subito dell’intero ciclo di vita del prodotto, per evitare successive criticità.
Nella fattispecie, l’aspetto del riciclo affronta il problema delle barriere che impediscono un efficace riciclo. In alcuni casi – come documenta la Plastic Recyclers Europe, l’associazione europea dei riciclatori – manca totalmente l’aspetto della progettazione degli imballaggi, come per esempio, la scelta del polimero, i coloranti o gli adesivi, ovvero degli elementi la cui combinazione determina le caratteristiche finali del packaging; il che, nel momento della reintroduzione nella filiera produttiva, ha un impatto negativo sul mercato degli aggregati riciclati.
Nonostante questo, non è sufficiente impiegare un polimero potenzialmente di alto valore (il PET, l’HDPE o quello compostabili come il PLA) se non si tiene presente il sistema post consumo che accoglierà gli imballaggi a fine vita. In Italia, la tendenza è proprio quella di non riciclare o di farlo in maniera molto limitata rispetto alle quantità di materiale immesso sul mercato (come accade per il caso del Tetrapack): questo perché sono poco diffuse le informazioni e l’accessibilità ai dati sugli imballaggi destinati ai termovalorizzatori.
Prevenzione, riduzione e logistica efficiente
Lo studio della Ellen MacArthur Foundation ha evidenziato l’importanza dell’ecodesign, stimando che è possibile arrivare a un valore pari a 3 miliardi di dollari l’anno per ogni tonnellata di plastica raccolta, per la quale il design degli imballaggi ha un diretto impatto sui costi di raccolta, selezione e riciclo.
Ancora una volta l’informazione e la sensibilizzazione a differenziare correttamente i rifiuti costituiscono il punto di partenza per ammortizzare i costi di smaltimento: gli imballaggi non riciclabili immessi nella filiera di quelli riciclabili generano un costo aggiuntivo fino a 500 dollari per tonnellata di materia prima; per esempio, pochi sanno che le bottiglie di PET opacizzato (come quelle del latte) sono poco riciclabili rispetto a quelle trasparenti.
Recentemente, alla luce della scomoda verità che il sistema industriale definito dalla produzione-consumo-smaltimento si sia rivelato del tutto fallimentare, l’industria affiliata all’ecodesign si sta addentrando nella sperimentazione di diverse opzioni di recupero dei materiali, concentrandosi sull’aspetto più innovativo: aver portato le aziende verso un modello produttivo che approccia, già in fase di scelta delle materie prime, alla necessità di riciclare i prodotti, di fatto prima che questi possano essere considerati rifiuti. Inoltre, per adeguarsi alle normative europee l’industria italiana del packaging sta investendo nello sviluppo di strategie sostenibili: dagli imballaggi funzionali a quelli multifunzionali, dalle confezioni intelligenti a quelle idrosolubili o commestibili.
Prevenzione e riuso, ma anche riduzione e logistica efficiente, sono dunque le parole chiave sulle quali si focalizzano le strategie di intervento più efficaci, mirate al contenimento delle risorse soddisfacendo altresì il fabbisogno di una popolazione mondiale in continua crescita, ma sempre più attenta e consapevole.
Ilaria D’Ambrosi