Nella tarda estate del 2011, lo scrittore francese Michel Houellebecq svanisce misteriosamente durante il tour promozionale de “La carta e il territorio”, suo quinto romanzo fresco di premio Goncourt, il più prestigioso riconoscimento letterario d’Oltralpe. Organizzatori e casa editrice cercano invano di rintracciarlo: il telefono è staccato, le mail non trovano risposta. Nel panico crescente si rincorrono le congetture più disparate finché non incombe lo spettro del rapimento (quest’ultima tesi ispirerà addirittura una pellicola al regista Guillaume Nicloux).
Dopo alcune settimane di tormento mediatico, un secco comunicato stampa silenzia gli allarmi: “M.H. sta bene, è a casa. Non ha nessun problema particolare”. Da qualche parte scovai una dichiarazione del lunatico romanziere successiva all’episodio, nella quale sosteneva con distacco di essersi recato presso un parco naturale spagnolo a scattare fotografie. Resto perplesso: conosco bene la biografia di Houellebecq, autentica stella polare nella libreria del sottoscritto a partire da “Le particelle elementari”, e per l’occasione c’è da figurarselo più verosimilmente sigillato in casa a smaltire le scorie generate dallo snervante affollarsi di giornalisti, presentazioni e seguaci indiscreti. Lo scrittore non era d’altronde nuovo a improvvise ritirate strategiche.
Ma, il dibattito sulla meta della fuga è ozioso e la lezione di sostenibilità tratta dall’episodio orienta le sorti della mia stagione calda da qualche anno a questa parte. Su indicazione di Michel, risulta salutare sottrarsi quanto basta alla mondanità convulsa, all’ansia da connessione, alla sterile chiacchiera che domina di consueto il quotidiano. Per riuscirci non occorre certo la misantropia radicale di un artista sofisticato, basta aspirare a ritrovarsi. Dimenticare di accendere lo smartphone, volendo, aiuta.
Davide Albanese
Laureato in Lettere e collaboratore di infoSOStenibile