Gioca con le parole il documentario “Shooting the Mafia” di Kim Longinotto, dedicato alla grande fotografa e “combattente” palermitana
Corpi inermi col capo riverso, il sangue a delimitare la scena, un lenzuolo a coprire l’orrore. Le strade siciliane e i suoi abitanti a fare da set, impotenti. Eppure, nonostante le terribili scene ritratte, le immagini di Letizia Battaglia sono di una bellezza unica. Sarà che - come ha rivelato in un’intervista - se da un lato si «poneva di fronte alla morte con gli zoccoli e vestita male», dall’altro sapeva sempre di dover «fotografare bene, nonostante i sentimenti, lo sgomento e il dolore di dover vedere sia un corpo morto con la violenza, sia i familiari, la gente che urlava». Talento, coraggio, insofferenza verso i luoghi comuni ne hanno fatto una delle più grandi e conosciute fotografe italiane.
Nel 1985 è stata la prima donna europea a vincere a New York il premio «Eugene Smith»; il «Mother Johnson Achievement for Life» le è stato assegnato nel 1999, mentre nel 2017 il «New York Times» l’ha citata come una delle undici donne dell’anno.
Mai banale, profonda e allo tempo stesso irriverente, come il caschetto rosa che sfoggia nonostante gli 84 anni. Come se il suo destino fosse già nel nome: in lei convivono l’indomita voglia di vivere e una determinazione a combattere le ingiustizie in favore della libertà.
Quella che si è dovuta conquistare una bambina nata a Palermo nel 1935 e sposata a 16 anni, solo per fuggire da un padre che la teneva chiusa in casa. Quella di una donna che solo a 40 anni ha scoperto la fotografia, la «chance della vita» che le ha permesso di realizzarsi «come persona», perché prima non lo era davvero. Riuscì a farsi assumere, prima donna in Italia, come fotoreporter al giornale «L’Ora». È stata lei la prima a giungere sul luogo in cui venne assassinato Piersanti Mattarella, il 6 gennaio 1980. Sempre lei a ritrarre, all’uscita dell’hotel Zagarella, Nino Salvo con Giulio Andreotti.
Ha immortalato le stragi e i boss (e per questo è stata minacciata), ma non solo quelli: davanti al suo obiettivo sono finiti gli sguardi di bambini e donne, le feste e le tradizioni, i quartieri, la vita quotidiana.
A raccontare la sua storia è «Shooting the Mafia», film della documentarista inglese Kim Longinotto, presentato in questi mesi in diversi festival internazionali e nazionali e che arriverà nelle sale italiane il prossimo dicembre. La pellicola ripercorre anche gli anni in politica, come consigliere comunale e poi quelli come assessore. Montando interviste recenti con spezzoni di film, riprese amatoriali e foto realizzate dalla stessa Battaglia, Kim Longinotto racconta la vita di un’artista passionale e di una donna controcorrente, mostrando non solo un’esistenza straordinaria, ma anche uno spaccato di Storia italiana. Quello che inizia all’epoca in cui nessuno aveva il coraggio di citare la parola «mafia» e arriva fino alla fase del maxi-processo, delle rivelazioni di Tommaso Buscetta e degli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Michela Offredi
Il Centro internazionale di fotografia di Palermo
Oggi l’impegno di Letizia Battaglia prosegue con il Centro internazionale di fotografia, aperto all’interno dei Cantieri culturali alla Zisa, nella sua città natale. Un luogo da lei diretto e dedicato alla fotografia (ma non solo), dove si organizzano mostre, seminari, incontri con i protagonisti del panorama nazionale e internazionale. Perché - come ha detto in un’intervista - la fotografia è «cultura che si oppone a quella mafiosa». E «se proponi cose corrette e giuste, che non hanno a che fare con gli amici, i parenti e le protezioni politiche, ma con la bellezza del lavoro, è una cosa bellissima. È già lottare contro la mafia».