È quasi l’ora, mi devo alzare. L’aroma caldo della moka che mi avvolge nella piccola cucina mi dà il buongiorno. L’aria frizzante della notte contribuisce a svegliarmi mentre mi avvio verso la fabbrica. I capelli legati pronti per essere nascosti dalla cuffia, il volto struccato, le scarpe da tennis: tutto il mio aspetto è fortemente in contrasto con quello delle turiste della mia età che affollano i locali del lungomare.
Più cammino in direzione dello stabilimento più l’odore pungente delle conserve mi penetra nelle narici; ha smesso da tempo di darmi fastidio, anche il caldo dei forni non mi sembra più così insopportabile. Tutto sommato questo lavoro mi piace. Mentre i pomodori scorrono lenti sul nastro trasportatore posso godere della più assoluta libertà: rilassarmi, dimenticare ogni scadenza, cantare le mie canzoni preferite, coperta dal rumore degli enormi macchinari.
Quando la schiena inizia a far male e gli occhi si chiudono, mi basta pensare a tutto quello che potrò fare con i soldi guadagnati: un altro anno di università, un corso di danza, forse anche un breve viaggio. Persa nei miei sogni sento una mano toccarmi la spalla: è già mattina, cambio turno. Corro negli spogliatoi, una doccia veloce, indosso il costume sotto i vestiti e, coi capelli ancora bagnati, mi dirigo verso la spiaggia. Intorno a me non c’è nessuno. Solo il sole si sta alzando per venire a farmi compagnia. Lentamente, cullata dal rumore delle onde, sento che mi sto addormentando. Sono stanca ma felice: dopotutto domani mi attende un’altra giornata di mare.
Giulia Torriani
Studentessa di Lettere