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Economia carceraria. Il riscatto che passa dal lavoro

Economia carceraria. Il riscatto che passa dal lavoro

Riduce la recidiva, dà valore al tempo della pena e restituisce dignità. Alla scoperta dei progetti di lavoro per i detenuti: ancora pochi, ma in crescita

In carcere la libertà può assumere forme inaspettate. Può avere profumo di pane e biscotti o forma di cartamodelli e macchina da cucire. Può parlare la lingua del lavoro manuale o quella della creatività. Può raccontare storie di errori e sbagli, ma anche farsi portavoce di nuove narrazioni che parlino di dignità e rinascita.

L'economia carceraria non è così soltanto lavoro fine a se stesso, ma diventa un vero e proprio progetto sociale, capace di influire tanto sulla vita dei detenuti quanto su quella della società. E infatti crescono nelle case circondariali di tutto il paese progetti di istruzione, formazione e lavoro: gocce nel mare, forse, rispetto ai dati allarmistici sul soprannumero di detenuti nelle carceri italiane e le conseguenti difficoltà annesse, ma fondamentali per trasformare il tempo della pena in tempo di rieducazione e dignità, così come previsto dalla nostra Costituzione.

Carceri italiane alcuni dati

Secondo il XIV Rapporto sulle Condizioni di Detenzione in Italia, stilato dall'Osservatorio Antigone, al 31 dicembre 2017 i detenuti nelle carceri italiane erano 57.608, il 34% delle quali in custodia cautelare (quindi in attesa di sentenza definitiva). I reati per cui le persone sono detenute sono soprattutto reati contro il patrimonio (24,9%), reati contro la persone (17,7%) e reati previsti dal testo unico sugli stupefacenti (15,2%); il 4,9% dei detenuti è in carcere per condanne fino a un anno (ma la percentuale sale al 7,1% se si considerano i soli stranieri) e gli ergastolani sono i 4,6% del totale dei detenuti.

Se si guarda a uno degli obiettivi fondamentali del sistema penitenziario – quello cioè di “riempire di significato il tempo della pena” con attività formative, educative e lavorative - si scopre che la situazione è in miglioramento, ma presenta ancora forti criticità numeriche.

Il rapporto dell'Osservatorio Antigone evidenzia infatti che solo il 23% delle persone detenute partecipa a un corso scolastico di qualsiasi grado, con la Lombardia in testa quanto a percentuale di iscritti ai corsi (36,7% sul totale dei presenti in regione), seguita da Calabria (35%), Lazio (25,7%) e Umbria (24,1%).

Il tasso di occupazione in carcere è invece del 31,95% sul totale: nel 2017 nelle case di pena hanno lavorato 18.404 detenuti - con percentuali omogenee nelle diverse aree geografiche - ma solo il 2,2% di essi lavora per datori di lavoro diversi dall'amministrazione penitenziaria.

E anche qui è necessaria un'ulteriore specifica: di queste persone, solo l'1,7% lavora per titolari esterni al carcere ma restando all'interno della struttura penitenziaria. In tutto 949 persone, di cui 246 detenuti alle dipendenze di imprese (195 al Nord) e 703 di cooperative (di cui 195 al Nord). Le altre 17mila persone definite dall'amministrazione penitenziaria come “lavoranti” sono occupate dalla stessa amministrazione in servizi di istituto, ma si tratta di attività che non sono spendibili nel mondo esterno. Di fatto, quindi, inutili per il post pena, perché non creano un ponte con la società esterna e il mercato del lavoro, una volta usciti dal carcere.

Contro la recidiva. Un ponte con la società

Che le misure alternative, un carcere più umano e la possibilità di imparare un mestiere dietro le sbarre funzionino da contrasto alla recidiva, non è certo una novità. Maggiore attenzione al valore del tempo della pena - che altrimenti «non è che passa lento, ma passa tutto uguale» (dalle testimonianze raccolte dall'Osservatorio Antigone) – sono fondamentali.

Ed è proprio in quest'ottica che quest'anno è stato lanciato a Roma il Festival dell'Economia Carceraria, due giornate di promozione dell'economia carceraria, del suo valore e del contrasto alla recidiva. Le due giornate di manifestazione, promosse da Semi di Libertà Onlus e tenutesi lo scorso giugno, sono state inoltre l'occasione per avviare un discorso condiviso sul tema in tutta Italia, mettendo attorno ad un medesimo tavolo (virtuale) progetti e realtà attive in questo ambito con l'intenzione di creare una piattaforma online di comunicazione e di vendita dei prodotti realizzati nelle carceri italiane. Prodotti buoni, etici e circolari.

«La recidiva – si legge sul sito del festival - costituisce un costo insostenibile per lo Stato, sia in termini di sicurezza che economici. Una risposta di riscatto può trovare la sua espressione nella creazione di un modello aggregativo di economia carceraria, che metta in rete e valorizzi tutte le iniziative italiane che contribuiscono a creare, attraverso il lavoro carcerario, dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa. Aspetti che possono arricchirsi nel tempo sul piano della professionalità, andando a coinvolgere le istituzioni pubbliche e le imprese».

E i progetti di questo tipo sono sempre più numerosi: piccole e grandi storie che parlano di coraggio, di voglia di riscatto e di desiderio di vita nuova, diversa. Alcuni esempi?

La birra “Vale La Pena”, progetto di inclusione cofinanziato dal Ministero dell’Università e Ricerca e dal Ministero della Giustizia nel quale detenuti ammessi al lavoro esterno, provenienti dal Carcere romano di Rebibbia, vengono formati ed avviati all’inclusione professionale nella filiera della birra. Oppure la Sartoria Sociale di Palermo, che riunisce stilisti, sarti e amanti del cucito di diverse etnie e che dal 2013 coinvolge alcune detenute all'interno della Casa Circondariale di Pagliarelli Palermo, formate e avviate alla produzione grazie a misure di borsa lavoro. E ancora, il progetto promosso dalla cooperativa Terra Promessa all'interno della casa circondariale di Novara, che forma alla tipografia e alla stampa digitale i detenuti. E la lista potrebbe essere ancora lunga.

E in Lombardia?

Modelli virtuosi e buone prassi di circolarità tra carcere e territorio non mancano anche in Lombardia, dove anzi se esperienze si moltiplicano diventando spesso veri e propri esempi da emulare.

Si pensi ad esempio alla Sartoria SanVittore, brand di moda di Cooperativa Alice che crea percorsi di inserimento lavorativo per i detenuti nella casa circondariale di San Vittore e nella Casa di reclusione di Bollate, a Milano. Sempre a Bollate è nato da qualche anno anche un progetto innovativo: “Ingalera”, il primo ristorante italiano dietro le sbarre, che vede in cucina e in sala i detenuti, stipendiati, che si sono rimboccati le maniche e hanno imparato un mestiere.econ

Ma si pensi anche al progetto “Dolci sogni liberi”, la pasticceria all'interno del carcere di Bergamo che realizza e commercializza all'esterno prodotti da forno come il panettone. Formazione ad opera di mastri pasticceri e lavorazione rigorosamente a mano, la collaborazione con cooperative del commercio equo e solidale che forniscono i prodotti di base e distribuiscono poi i prodotti in occasione del Natale - come fa la Cooperativa Amandla con i panettoni – crea quel collegamento con il “fuori” che scardina la charity a favore un vero e proprio lavoro.

E restituisce la dignità anche a chi pensava di averla persa.

Erica Balduzzi

Dicembre 2018

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