Sciopero globale per il clima. Entusiasmo in transizione… ecologica
Guardare con occhi disincantati un evento epocale come lo sciopero mondiale del 15 marzo 2019 deve essere un sintomo di cinismo mascherato da esperienza (vecchiaia), oppure di pessimismo travestito di triste realismo.
Eppure è facile cadere in questa trappola insidiosa, se non altro perché le contraddizioni di questo evento planetario emergono tanto evidenti quanto il problema che evidenziano, lasciando aperti molti dubbi sugli effetti che una movimentazione globale, così ben riuscita, abbia poi concretamente sul medio e lungo periodo. In altre parole, come far sì che tanta motivazione, tanto entusiasmo e tanta partecipazione non si rivelino un fuoco di paglia?
Come non temere che, passata la giornata-evento, vada scemando l’esposizione mediatica e l’attenzione al tema?
Cominciamo a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Greta - e ai giovani - quel che è loro merito: aver saputo portare l’attenzione mondiale non solo sul tema del secolo, vale a dire il cambiamento climatico e la non sostenibilità della nostra vita sulla terra alle condizioni attuali, ma anche aver messo in chiaro che i soggetti cui stiamo negando il futuro sono proprio loro.
E loro, che per definizione sono giovani e giovanissimi, non possono certo mettere in atto politiche e scelte legislative ed economiche, in quanto non sono parte di una classe dirigente e in molti casi non sono nemmeno maggiorenni ed elettori. Di rimando, l’altro grande merito della manifestazione è l’aver chiarito (e gridato) tutta la legittimità della critica agli adulti, rei in primis di aver consegnato loro un mondo nello stato in cui è ora.
Ancora più grave è l’accusa, nonostante le mille analisi e i mille dibattiti, di non saper tuttora mettere in pratica azioni efficaci per fermare questa corsa perversa verso il consumo smisurato delle risorse del Pianeta.
Giovani e studenti al centro, quindi, quali autentici emblemi del futuro e della sostenibilità. Dall’altra parte una società civile (genitori, scuola, mass media, cittadini e amministratori) richiamata alla responsabilità di fornire risposte concrete, ma soprattutto di dotare i giovani e tutti i cittadini di strumenti per la comprensione del fenomeno nella sua complessità e offrire opportunità di cambiamento in una prospettiva percorribile.
Prospettiva che forse è davvero meglio provenga da loro, visto che – sebbene studenti e giovani possano essere accusati di tante incoerenze, come riempire spesso fast food e centri commerciali, ritenuti a torto o ragione simboli di una insostenibile globalizzazione - sono proprio le passate generazioni ad aver causato contraddizioni su contraddizioni, creando quel cavallo di Troia chiamato “benessere” con cui ora tutti ci troviamo a fare i conti.
Timeo Danaos et dona ferentes: la consegna di una tal patata bollente ai giovani d’oggi toglie forza a qualsivoglia critica o cinismo.
Al contrario, dobbiamo trovare il modo di investire nell’entusiasmo e nel protagonismo dei diretti interessati. Atteggiamenti che speriamo non siano in transizione, bensì preludio alla “transizione ecologica”, come si definisce il nuovo modello di sviluppo a cui dobbiamo tendere.
Ma forse anche in questo caso dobbiamo imparare dai giovani: gridare convintamente semplici slogan è forse più efficace che dare tante spiegazioni sui nuovi paradigmi e modelli in transizione, che poco toccano il cuore della gente e del problema: non c’è un altro Pianeta, non esiste un piano B. Il tempo è scaduto. Messaggio semplice, chiaro, immediato. Non resta allora che riconoscere i meriti di questi giovani per la giusta dose di energia e incazzatura, necessarie per attivare ogni cambiamento.
Ma veniamo alla domanda cruciale, per la quale non c’è ancora una risposta: e adesso?
Come smuovere politiche e politici, imprese e cittadini?
Quale è il piano A?
Aiutateci voi, giovani, a costruirlo. A costruire una proposta per un mondo diverso. Siamo in ascolto. Il futuro è vostro, ma nel presente ci siamo tutti.
Uniamo voci e generazioni. E gridiamo insieme.
Diego Moratti