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Man Ray, il genio che trasformò la luce in arte

Una grande mostra a Palazzo Reale celebra l’artista che ha rivoluzionato la fotografia e l’immagine nel XX secolo

Man Ray, al secolo Emmanuel Radnitzky, è uno dei grandi protagonisti dell’arte del XX secolo. Fu uno dei primi a utilizzare la fotografia come un vero e proprio strumento creativo, realizzando opere emblematiche che sono entrate a far parte della storia dell’arte del Novecento.

L’artista nacque nel 1890 a Philadelphia da una famiglia di immigrati ebrei russi, crebbe a New York e si dedicò allo studio dell’architettura che poi abbandonò per dedicarsi all’arte. Appassionato di pittura e innovatore, fu autodidatta in fotografia, campo che esplorò con risultati incredibili. Lo pseudonimo che scelse per firmare le sue opere ben sintetizza la sua ricerca sulla luce e sul visibile: Man Ray significa infatti “uomo” e “raggio di luce”.

Una mostra che illumina, un artista senza confini

Il tema della luce è ripreso anche nel nome della mostra retrospettiva in programma a Palazzo Reale, intitolata appunto “Forme di luce”, che permette di ripercorrere la carriera e la biografia di questo geniale artista grazie a un importante raccolta di materiali originali come stampe vintage, negativi, collage, documenti e opere non solo fotografiche, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private.

L’arte eclettica di Man Ray si svela attraverso un percorso tematico con ben 300 opere in esposizione che permettono di immergersi nella sua parabola artistica attraverso i suoi principali temi e motivi ispiratori: gli autoritratti, dove l’artista gioca con la propria identità, i ritratti degli amici e degli artisti e intellettuali; la figura femminile, continuamente reinventata e oggetto di sperimentazioni visive attraverso le sue muse; i nudi, trattati come forme astratte e composizioni di luce; le rayografie e le solarizzazioni, frutto di una ricerca tecnica e poetica; la moda; i multipli e i ready-made, espressione della sua adesione allo spirito dadaista e della sua indifferenza verso l’unicità dell’opera d’arte; infine il cinema, oggetto di sperimentazione pura.

Dall’America alla Parigi delle avanguardie

Nel 1921 Man Ray, dopo aver formato il ramo americano del movimento Dada negli ambienti newyorkesi con il suo grande amico Marcel Duchamp, decise di trasferirsi a Parigi. Fin dagli esordi ebbe un grande interesse per i volti, come testimonia la ricchissima produzione fotografica che rivela la sua notevole abilità di ritrattista. Man Ray in Francia trovò la fortuna e la consacrazione come fotografo artista, ma la sua intenzione era diventare un pittore di successo. Scrisse: “È la pittura che mi ha portato alla fotografia, semplicemente perché volevo riprodurre i miei quadri”. Per mantenersi, all’inizio documentò anche i lavori di altri artisti entrando così in contatto con numerosi intellettuali: "Nessuno mi pagava le stampe, ma il mio archivio si arricchiva e la mia reputazione cresceva". I ritratti riscossero un notevole successo tanto che divenne il ritrattista designato della scena culturale. Tra le celebrità dell'epoca che posarono di fronte alla sua macchina fotografica troviamo James Joyce, Gertrude Stein, Jean Cocteau, Salvador Dalì e lo stesso Duchamp che iniziò una lunga collaborazione con Man Ray, dalla quale nacquero una serie di lavori che avrebbero fatto la storia dell’arte, come il ritratto di Rrose Sélavy, alter ego femminile di Duchamp.

Kiki de Montparnasse corpo e ispirazione

A Parigi entrò in contatto con il gruppo surrealista guidato da André Breton e incontrò Alice Prin, in arte Kiki, la regina delle notti di Montparnasse, cantante e modella di vari artisti tra cui anche Modigliani. Kiki divenne sua compagna e musa e insieme diedero vita a una serie di immagini destinate a diventare icone della storia della fotografia. Una delle fotografie più famose in esposizione è senz’altro “Il violino di Ingres” scattata nel 1924, dove Kiki appare nuda con un turbante, chiaro richiamo all’opera “La bagnante di Valpinçon” di Jean-Auguste-Dominique Ingres. Man Ray dipinse sulla stampa della fotografia due forme ad “effe” con inchiostro e grafite. La posizione della modella, lo stacco tra il corpo molto chiaro e lo sfondo buio e le due effe fanno sì che il corpo della modella sia simile ad un violino.

E’ in quel periodo che Man Ray affina alcune delle sue tecniche più innovative, come la rayografia, procedimento che consiste nell’esporre oggetti direttamente su carta fotosensibile senza l’uso della macchina fotografica. Inoltre, alla fine degli anni Venti, con la fotografa e modella Lee Miller, sua compagna, sviluppa un’altra tecnica chiamata solarizzazione, ottenuta attraverso un’esposizione parziale alla luce in fase di sviluppo, grazie alla quale i contorni delle immagini assumono un’aura luminosa, surreale e onirica.

Lee Miller modella e fotografa

Sembra che sia stata proprio Lee Miller a far prendere luce ad una stampa per errore ed avviare così la sperimentazione di questa tecnica che ha permesso alla coppia di creare immagini intense e affascinanti. Lee Miller, infatti, oltre che bellissima modella e musa anche di altri fotografi (come George Hoyningen-Huene, protagonista di un’altra recente mostra a Palazzo Reale), era un’ottima fotografa. Durante la seconda guerra mondiale fu una coraggiosa corrispondente di guerra e i suoi drammatici scatti nei campi di concentramento appena liberati rappresentano una testimonianza fotografica di grandissima importanza.

Nel corso degli anni Trenta, Man Ray si dedicò alla fotografia di moda e anche qui il suo apporto rivoluzionò il linguaggio visivo del settore con uno stile sofisticato, ironico e tecnicamente innovativo. Collabora con importanti case di moda e stilisti tra cui Elsa Schiaparelli e Coco Chanel, pubblicando le sue immagini su riviste internazionali. In parallelo, continuò a esplorare le possibilità offerte dal cinema, firmando film fondamentali per la storia dell’avanguardia europea.

Le donne di Man Ray tra arte e libertà

Le donne che Man Ray ha avuto al suo fianco e ha ritratto posseggono, oltre ad una bellezza eccezionale, anche una personalità spiccata. La mostra permette di apprezzare la profonda complicità che si instaurava tra l’artista e le sue modelle e intuire il loro contributo attivo nel processo di creazione artistica. Ciò emerge dalle opere che ritraggono Meret Oppenheim, modella e artista facente parte del gruppo dei surrealisti, spirito libero ed emancipato; dai lavori con le già citate Lee Miller e Kiki de Montparnasse, modella, attrice e scrittrice e una delle figure centrali della effervescente Parigi degli anni venti; dai ritratti di Ady Fidelin, ballerina e modella originaria delle Antille francesi, la prima donna nera ad apparire su una rivista di moda dell’America razzista e colei che nel 1940, quando Man Ray fuggì dalla Francia occupata, decise di restare, impegnandosi a conservare le opere dell’artista e preservarle dall’avidità degli occupanti tedeschi.

E, ancora, Nusch Éluard, moglie del poeta Paul Éluard, artista e modella elegante ed enigmatica, ed infine Juliet Browner, ballerina e modella, che diventò sua moglie e musa e con la quale Man Ray trascorse gli ultimi trent’anni della sua vita.

Si ha la sensazione che le sue opere, così potenti e innovative, non sarebbero state le stesse senza l’apporto e la collaborazione delle sue muse che, ben lungi dall’essere solo modelle da ammirare e ritrarre, ebbero un importante ruolo attivo nella sperimentazione artistica, libera e pionieristica che rivoluzionò anche la visione della figura femminile.

Il periodo francese si interruppe nel 1940 poichè, essendo ebreo, dovette rientrare negli Stati Uniti per sfuggire alla persecuzione. Man Ray tornò poi a Parigi con Juliet nel 1951, dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1976.

Simonetta Rinaldi

 

 

 

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