Dopo il disastro ambientale del 2018 tre giovani hanno ideato un modello virtuoso di economia circolare
Era il 28 ottobre 2018 quando la tempesta Vaia rase al suolo intere aree della Val di Fassa, nelle Dolomiti: oltre 42mila ettari di foresta spazzati via, circa 8,5 milioni di metri cubi di legname a terra, due tragiche morti, sicurezza pubblica in pericolo per rischio frane e smottamenti causati dal dissesto idrogeologico, tonnellate di legno che rischiavano di andare sprecate. Numeri e dati di una tragedia che ha ferito profondamente il territorio, ma che ora, a distanza di poco più di un anno, è diventata occasione di rinascita.
Dalla crisi all'opportunità
Il merito è di tre giovani ragazzi trentini – Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo – che hanno ideato un modello virtuoso capace sia di far fronte ai danni inferti dalla tempesta, sia di rilanciare l'economia locale in ottica di circolarità, donando nuova vita al legname abbattuto da Vaia.
In che modo? Coinvolgendo gli artigiani della zona e avviando una start up 100% sostenibile per la produzione di piccole ed essenziali casse di risonanza per gli smartphone a partire dal legno (abete e larice) recuperato dagli alberi sradicati dalla calamità naturale.
Un concept semplice, partito dalla consapevolezza che tutti quei metri cubi di legname squarciato sarebbero stati inutilizzabili per realizzare prodotti più complessi o di maggiori dimensioni: le casse prodotte da Vaia – l'azienda ha preso il nome della calamità naturale – sono quindi semplici cubi di massello e permettono la propagazione naturale dei suoni senza l'impiego di alcun tipo di energia.
Ciascuna cassa è un pezzo unico, perché sulla superficie presenta una spaccatura realizzata dal falegname e che segue la venatura naturale del legno ormai rotto, in una ferita simbolica che ricorda l'origine della start up e del legno utilizzato.
La scelta della produzione di casse di risonanza è simbolica, nell’intento di rendere voce e significato alle preziose risorse che sarebbero altrimenti andate perdute: «Per noi si tratta di una metafora forte e concreta – ha spiegato Federico Stefano in un'intervista al giornale locale -, una cassa attraverso la quale amplificare ulteriormente il grido di aiuto della natura e mantenere alta l’attenzione sul cambiamento climatico, creando allo stesso tempo un progetto sostenibile».
Ma non finisce qui: Vaia ha infatti stipulato accordi con le amministrazioni locali per piantare nuovi alberi con parte dei ricavati, per contrastare il dissesto idrogeologico ed evitare future catastrofi. Una volta avviata l’azienda, l’intento è quello di recarsi in zone del mondo in cui esiste uno spreco di risorse – sia a fronte di cataclismi sia a causa di un'eventuale mala gestione – per riprodurre il modello, cucendolo sartorialmente sul territorio di riferimento.
L’auspicio è che tale modello possa valere da esempio, perché di sprechi, su questa terra, non possiamo proprio più permettercene.
Laura Zunica
La nostra economia si basa su un modello lineare: le aziende producono beni, il consumatore li usa, al termine diventano rifiuti. In una società fondata sulla cultura dell’usa-e-getta, questo modello non è più sostenibile. Il problema dello smaltimento dei rifiuti è reale: nella migliore delle ipotesi vengono riciclati, seppur ciò non rappresenti una risposta adeguata.
È minima la parte destinata al riciclo e molti materiali dopo pochi riciclaggi si deteriorano diventando inutilizzabili: questo rende il riciclo un mero palliativo che semplicemente posticipa la trasformazione da bene a rifiuto. I rifiuti non riciclabili sono smaltiti da inceneritori che emettono abbondanza di gas tossici, co-responsabili del surriscaldamento globale.
Oppure sono dispersi nell’ambiente danneggiando l’ecosistema.
L’unica scelta ragionevole è la conversione a un’economia circolare per cui già in sede di produzione di un bene ne viene ideato lo smaltimento, che sia organico o di riutilizzo dei componenti, evitando la produzione di rifiuti.