I Prodotti Finanziari ESG, sono veramente Sostenibili?
Non si può negare che l’attenzione agli aspetti ambientali, sociali e al rispetto delle normative è sempre più diffuso nel mondo della finanza, ma come sempre accade, quando il business è in aumento i guadagni si moltiplicano e il detto: “l’occasione fa l’uomo ladro” è sempre di moda. Secondo un’analisi di MainStreet Partners (team di specialisti nella ricerca ESG), la maggior parte dei prodotti non è in grado di garantire la necessaria attenzione alla sostenibilità. La nuova edizione annuale dell’ESG Barometer, indagine condotta dal Fund Research team di MainStreet Partners, che ha esaminando i recenti dati dello European Esg template (metodo standardizzato per lo scambio dei dati ESG), su oltre 5.800 Fondi Comuni d’Investimento ed ETF e più di 64mila ISIN individuali, che coprono più di 300 asset manager per un patrimonio totale di 4.400 miliardi di euro, ha evidenziato che più del 90% dei fondi appartenenti all’art. 9 ai sensi della SFDR non possiede o non rende noti gli obiettivi di carattere ambientale. Quasi un terzo dei fondi che godono dello status di art. 9 ai sensi della SFDR, dichiara una percentuale pari o inferiore al 30% di investimenti sostenibili. Se aggiungiamo anche le innumerevoli normative a livello mondiale e i continui aggiornamenti, posso affermare che sul mercato dei prodotti ESG regna una notevole confusione, se poi consideriamo il rischio di greenwashing il tutto si complica.
Il Greewashing è una pratica ingannevole, usata come strategia di marketing da alcune aziende per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente, con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori attenti alla sostenibilità, che oggi rappresentano una buona fetta di mercato e sono in continuo aumento. Tale attività viene fatta attraverso campagne e messaggi pubblicitari o in qualche caso persino con iniziative di responsabilità sociale.
Casi di greenwashing
Prendendo in prestito lo slogan: Perché Sanremo è Sanremo, segnalo un recente caso di probabile Greenwashing all’Italiana. Fatto già denunciato da Fridays for Future e Greenpeace Italia, che hanno attuato campagne social e azioni di protesta pacifiche, contribuendo ad accendere i riflettori sia sulla gara canora di quest’anno, sia su quelle dell’anno scorso.
Eni utilizzando il suo marchio Plenitude ha usufruito del palcoscenico Sanremese per raggiungere facilmente milioni di italiani e far passare le proprie comunicazioni su presunte svolte “green”, non sostenute però dai fatti. Proprio come è successo qualche settimana fa, grazie al rinnovo per il secondo anno consecutivo della partnership pubblicitaria tra il festival canoro e Plenitude, società controllata al 100% dal colosso energetico italiano. Nonostante annunci e pubblicità martellanti che potrebbero far pensare ad una svolta sostenibile, Plenitude continua invece a basare una parte importante delle proprie attività principalmente su fonti no green.
Plenitude è la società Eni che ha raggruppato: le attività retail (luce e gas) a marchio Eni, le energie rinnovabili e l'e-mobile, sotto il nuovo logo, realizzando una rivisitazione in chiave green dello storico cane a sei zampe, in cui si vede scomparire la fiamma per lasciare il posto ad un sole. Il nome della società deriva dal latino plenitudo, nel senso di “completezza”, “adeguatezza” e “pienezza” e inoltre una “società benefit” (la legge 208/2015 definisce “società benefit” una azienda che nell’esercizio di un’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, persegue una o più finalità di beneficio comune e opera in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse).
Nella propria comunicazione, mette sempre in grande evidenza gli effetti positivi verso l’ambiente e la popolazione. Nei primi nove mesi del 2022, periodo per il quale sono disponibili i dati, Plenitude ha prodotto utili operativi per 497 milioni di euro, una cifra relativamente contenuta se confrontata con quella prodotta da tutte le altre attività di Eni. Il mix energetico offerto da Plenitude riferito al 2021 indica che per la produzione di energia elettrica derivante da fonti rinnovabili è poco superiore al 50%, mentre le altre fonti utilizzate sono: carbone; gas naturale; prodotti petroliferi; nucleare; altre fonti. Il mix energetico deve essere inserito obbligatoriamente nelle bollette, ma la presenza di poche righe, dopo l’indicazione sull’energia verde certificata crea qualche confusione.
In campo Ispra, Ue e Onu
Il greenwashing è talmente presente nel mondo, da spingere di recente l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) a creare una task force contro questa forma di “ambientalismo di facciata” e a far scendere in campo la Commissione Europea, con la preparazione di un provvedimento ad hoc. Qualche mese fa, durante la Cop27, le Nazioni Unite hanno presentato un rapporto con dieci raccomandazioni rivolte agli investitori, alle aziende, alle amministrazioni di città e regioni, per evitare il greenwashing. Secondo gli esperti Onu, nessuna azienda e nessun governo può dirsi sostenibile se continuerà a investire nello sfruttamento dei combustibili fossili, a contribuire alla deforestazione o a perseverare in altre attività distruttive per l’ambiente.