Economia circolare, solidale e sociale, agroecologia, architettura sostenibile, energie rinnovabili, mobilità elettrica, città smart e innovazione: i mondi della green economy sono ormai noti, riconosciuti e riconoscibili. I diversi settori dell’economia green cominciano a essere numerosi e i loro punti di contatto e sovrapposizione divengono sempre più marcati. Nondimeno, sono rilevanti pure le attenzioni che il mondo dell’informazione riserva a questi temi.
Anzi, sono le stesse aziende ad utilizzare queste tematiche per fare breccia nella società e nell’economia, a colpi di un marketing non sempre veritiero o responsabile. Grandi aziende, società nazionali o multinazionali, importanti nomi dell’economia, dell’industria e delle professioni stanno allineandosi a queste tendenze, per vera motivazione, per necessità di mercato o per semplice visibilità, trovando tuttavia anche vantaggi economici e industriali non secondari, visto il costo sempre più elevato del reperimento di materie prime, il costo dell’energia, piuttosto che dello smaltimento dei rifiuti. Senza contare i costi dell’impatto ambientale in senso lato, spesso non considerati perché “ricadenti” sulla società, sullo Stato e su tutti noi e non direttamente sui conti delle aziende.
Se per le associazioni della società civile, per i movimenti della sostenibilità “dal basso”, per le piccole cooperative o i produttori locali è ormai evidente la necessità di fare rete per raggiungere una soglia di massa critica minima, la stessa cosa non può dirsi per i grandi player e le imprese di grandi dimensioni. Società o aziende medio grandi possono decidere di muoversi per conto proprio, avendo maggiori disponibilità di risorse, possibilità di fare investimenti, prevedendo un effettivo ritorno per la propria attività economico-industriale e, non da ultimo, essendo certi di un’efficacia comunicativa e di posizionamento sui mercati.
Dall’economia all’architettura, dall’agroindustria alle grandi cooperative, il rischio è che nessuno veda - e nessuno faccia intravedere - il valore aggiunto di partecipare a una visione complessiva, di muoversi congiuntamente, il valore di un cambiamento che sia “di sistema” e di strategia generale, per un’economia che non deve rimanere la somma di singoli slanci, pur positivi, di aziende che sposano la green economy.
Ne abbiamo parlato ad aprile al festival Brescia Green e ne parleremo a maggio al Festival dell’Ambiente di Bergamo: le opportunità e potenzialità di una smart city, o meglio di una smart society sono enormi, la sfida è complessa ma alla portata. Siamo in un’economia in piena evoluzione tecnologica e in piena rivoluzione “di processo” industriale, che fa leva su energie alternative o di recupero, materie prime seconde provenienti dagli scarti di altri processi industriali.
Siamo all’inizio di una rivoluzione della mobilità elettrica o addirittura digitale, informatizzata, smart, pubblica e privata. Stiamo prendendo coscienza del valore territoriale e sociale del sistema economico “post globale”, che se perde del tutto il legame con la propria comunità non solo non è più “controllabile” e gestibile, ma genera falsa economia e non porta ricchezza sul territorio. Attorno a queste grandi tendenze dobbiamo però costruire una governance autorevole, “di sistema”, una rete consapevole di attori capaci di confrontarsi, supportarsi a vicenda e promuovere il cambiamento nella direzione che sia nell’interesse dell’intero sistema economico e sociale, non solo di una parte o di un settore, tanto meno che sia nell’interesse esclusivo dei propri diretti interlocutori o associati.
Istituzioni, soprattutto locali, provinciali e regionali, organizzazioni di aziende, associazioni di categoria, Camere di commercio, Università e alcune associazioni meglio strutturate per rappresentare il punto di vista dei cittadini e consumatori: solo la compartecipazione dei principali attori sociali e la conseguente gestione “intelligente” delle risorse può portare a una vera “politica” degna della propria origine etimologica di “costruzione della città”. Una città/società da ricostruire e riorientare verso uno sviluppo che - in discontinuità con il passato - sia più solidale, nel senso di essere “solidale” con gli interessi territoriali della comunità che rappresenta. In particolare più solidale con gli interessi degli attori più piccoli e più locali, i quali, nella loro pluralità, costituiscono l’ossatura di un tessuto imprenditoriale e incarnano una condizione essenziale per favorire, ma soprattutto beneficiare, di una florida economia di scala maggiore, nazionale o globale che sia.
Diego Moratti