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Gestire e regolarizzare, non bloccare

Gestire e regolarizzare, non bloccare

Dall’accordo di Macron con la Libia all’out-out di Minniti alle ong, qualche riflessione sulla questione migranti in quest’estate canicolare

Il torpore estivo generalmente allontana dalla cronaca quotidiana e quando il segnale “non disturbare” scaturisce legittimo dalle nostre sinapsi, le notizie appaiono come un’eco opaca di fatti sicuramente meno interessanti di una birra ghiacciata al chiosco della spiaggia.

Sia che si abbia trascorso il periodo estivo tra i monti, sia che ci si sia sollazzati sul bagnasciuga o sulla terrazza in città, la hit parade dei commenti da bar si incaglia puntualmente nella chiacchiera sul migrante: “Siamo invasi”, “Io non mi sento al sicuro”, “Gli diamo 35 euro al giorno per non fare niente”, sono tra i più pacati commenti che capita di ascoltare tra una nocciolina e l’altra.

Non serve andare nell’ormai celeberrima spiaggia per sentire sfilze di stereotipi snocciolati a catena e cenni di approvazione dalla platea circostante, eppure, ci sono numeri, percentuali, fatti alla portata di tutti che potrebbero smentire inconfutabilmente tanta baldanzosa ignoranza.

Di sicuro l’informazione giornalistica, specie quella estiva, non aiuta a chiarire i titoli sgrammaticati e una scelta lessicale quantomeno discutibile sul tema.

La crudeltà di settembre esige però una certa lucidità per non rimanere incagliati in un cicaleccio senza fine, quindi proviamo a fare un po’ di ordine sugli ultimi fatti che riguardano la questione migranti.

Fatti non pugnette

Finora nel 2017 sono sbarcati sulle coste italiane più di 94mila migranti e probabilmente la cifra supererà quella del 2016 e del 2015 secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Ciò non toglie che nell’Unione europea, su oltre 500 milioni di residenti di ogni età nel 2015, solo il 7% è costituito da immigrati (35 milioni), mentre gli autoctoni sono la stragrande maggioranza (93%, pari a 473 milioni).

La quota di stranieri varia notevolmente tra i paesi europei (il 10% in Spagna, il 9% in Germania, l’8% nel Regno Unito e in Italia, il 7% in Francia). È curioso, però, che i paesi più ostili all’accoglienza degli immigrati siano quelli che ne hanno di meno: la Croazia, la Slovacchia e l’Ungheria, per esempio, che ne hanno circa l’1%.

Agli immigrati sono riservati perlopiù lavori non qualificati, in gran parte rifiutati dagli italiani e i costi complessivi dell’immigrazione, tra welfare e sicurezza, sono inferiori al 2% della spesa pubblica.

Al contrario gli stranieri sono soprattutto contribuenti: nel 2014 i loro contributi previdenziali hanno raggiunto quota 11 miliardi, e si può calcolare che equivalgano a 640mila pensioni italiane, solo che i pensionati stranieri sono solo 100mila, mentre i pensionati totali oltre 16 milioni.

Per quanto riguarda la questione dei 35 euro al giorno: in Italia, nel 2014, sono stati spesi complessivamente per l’accoglienza 630 milioni di euro, e nel 2015 circa 1 miliardo e 162 milioni.

Il costo medio per l’accoglienza di un richiedente asilo o rifugiato è di 35 euro al giorno (45 per i minori) che non finiscono in tasca ai migranti, ma vengono erogati agli enti gestori dei centri e servono a coprire le spese di gestione e manutenzione, ma anche a pagare stipendi degli operatori italiani che ci lavorano.

Della somma complessiva solo 2,5 euro in media, il cosiddetto “pocket money”, è la cifra che viene data ai migranti per le piccole spese quotidiane, soldi che peraltro vengono spesso spediti alle famiglie nei propri Paesi d’origine.

Francia e Italia, les cousins di nuovo rivali sulla Libia

L’Italia lotta da mesi per tentare di ottenere un appoggio concreto dall’Unione europea nella gestione dei migranti, ma nel frattempo Macron salta alla ribalta per riconquistare un ruolo centrale nei rapporti con lo stato libico.

Il 25 luglio a Parigi il neopresidente ha raggiunto l’intesa - ma forse più formale che sostanziale - tra il generale Khalifa Haftar, a capo dell’Esercito nazionale libico, e il premier Fayez Al-Sarraj.

L’accordo che include un cessate il fuoco, l’indizione di nuove elezioni e una ipotetica road map contro la lotta di trafficanti, ha provocato non poca insofferenza all’Italia che si è ritrovata a dichiarare il proprio sostegno a cose praticamente fatte.

Diplomazia sul filo del rasoio

Tutto ciò mentre Roma è faticosamente riuscita a ottenere l’approvazione da Bruxelles di due proposte su cui lavorava da mesi: la riapertura del mandato dell’operazione Sophia, cioè la missione coordinata dall’Italia e pensata per addestrare la guardia costiera libica e per lottare contro il traffico dei migranti e l’annuncio da parte della Libia della definizione della propria area di ricerca e salvataggio, condizione necessaria ma non sufficiente per definire le responsabilità sui salvataggi eventualmente effettuati in acque libiche e per limitare l’attività delle Organizzazioni non governative.

La fitta agenda di incontri che Marco Minniti, ministro dell’Interno, porta avanti da gennaio con il leader libico Al Sarraj non è abbastanza: la Libia infatti è un Paese allo sbando in cui il governo legittimato dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea è debole e sempre assoggettato alle minacce del principale oppositore, il potente generale Khalifa Haftar che gode dell’appoggio di Egitto, Russia e Emirati.

Nonostante l’Italia sia l’unico Paese europeo ad avere un’ambasciata in Libia, la diplomazia tra i due stati è sempre appesa a un filo: la crudeltà degli italiani durante il periodo fascista è una ferita che Haftar non esita a riaprire sollevando il popolo libico contro il governo ogni qualvolta avverte un tentativo di accordo tra Al Sarraj e Roma.

«Fermare gli sbarchi non è una priorità per i libici e questo spiega perché le missioni navali italiane possono essere strumentalizzate da persone come Haftar per far propaganda e delegittimare Al Sarraj, accusandolo di essere una marionetta dei vecchi colonizzatori», dichiara Mattia Toaldo, esperto di questioni libiche dell’European Council on Foreign Relations.

È vero anche che il denaro incassato dai trafficanti finanzia direttamente o indirettamente le milizie che sono fuori dal controllo del governo, alimentando così l’instabilità del Paese. Intanto la Francia cura il proprio orticello: se nel 2011 ha appoggiato apertamente la caduta di Gheddafi e il consolidamento degli islamisti, oggi si schiera dalla parte opposta, sostenendo il generale Haftar e l’insieme di interessi politici ed economici che, attraverso l’Egitto, confluiscono nel Golfo e negli Emirati Arabi Uniti.

L’accordo raggiunto a Parigi per una maggiore stabilità in Libia potrebbe svelarsi in realtà l’anticamera dell’ingresso di Haftar nello scenario politico libico con un ruolo di preminenza rispetto ad Al Sarraj, gettando quindi un’ulteriore elemento di imprevedibilità nel già precario equilibrio dello stato nordafricano.

Minniti, le ong, la Libia

Il governo italiano, insofferente per lo scarso interesse e l’ancora più scarsa capacità di iniziativa dell’Unione europea, ha deciso di cambiare rotta: se non si riesce a ottenere una equa distribuzione dei migranti tra i paesi dell’Unione, allora bisognerà ridurre il numero degli ingressi.

Il 31 luglio il ministero dell’Interno presenta il Codice di condotta per le ong impegnate nel salvataggio dei migranti nel Mediterraneo. Si tratta di un documento a tredici punti che suscita la diffidenza di alcune organizzazioni non governative, tra cui Medici senza frontiere (Msf) e Sos Méditerranéé: le questioni critiche riguardano soprattutto il divieto di trasbordo dei migranti su altre navi e la presenza della polizia a bordo, intollerabile secondo i principi delle organizzazioni umanitarie.

Nel frattempo la Libia, in accordo con il ministro Minniti e l’Ue, ha istituito una zona “Sar” (Search and rescue) che si estende molto oltre le acque territoriali libiche in cui le organizzazioni non governative non possono accedere, tanto che l’8 agosto una motovedetta libica ha sparato qualche colpo di avvertimento in direzione della ong Proactiva Open Arms.

La marina libica è stata ben equipaggiata ricevendo dall’Ue navi moderne, molto denaro e corsi di formazione quindi d’ora in poi a salvare i migranti ci penseranno perlopiù i mezzi della missione europea Sophia e le navi libiche che li riporteranno sulla terraferma.

Per ora sbarchi in riduzione

È probabile che a breve termine si riducano gli sbarchi? Sì, gli arrivi sono dimezzati a luglio e ad agosto ci sono stati quattro giorni senza sbarchi.

Si tratta di una soluzione che porterà effetti positivi a lungo termine? Bah. Secondo il ministro Minniti “chi non firma il codice è fuori” e, in effetti, la ong tedesca Jugend Rettet ha visto sequestrata la sua nave Juventa nel porto di Lampedusa, dove è stata perquisita per il sospetto di un legame tra l’organizzazione e i trafficanti. Il dibattito sulle ong rischia però di oscurare il vero nocciolo della questione ovvero “la drammatica impotenza dell’Unione europea” che non sa dare risposte concrete e comuni alle esigenze che quest’ondata migratoria impone.

Resta il fatto che la Libia è uno dei Paesi meno indicati ad accogliere dei richiedenti asilo come denunciano l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale delle migrazioni che parlano di condizioni terribili, “angherie e violenze a cui sono sottoposti soprattutto donne e bambini”.

Se il piano del ministro Minniti funziona, si può ipotizzare che a lungo termine la rotta italiana venga addirittura chiusa e visto l’avvicinarsi delle elezioni politiche la prossima primavera, qualcuno cercherà sicuramente di approfittare dei risultati ottenuti per cavalcare l’onda di un populismo neppure troppo strisciante.

Ciò che manca in Italia come in Europa è, al solito, una visione di più ampio respiro: secondo Mattia Toaldo una politica alternativa sull’immigrazione è possibile. Per esempio, scrive lo studioso su l’Espresso: «una politica che proponga agli stati africani un patto: vi daremo dei visti per l’immigrazione legale se vi riprenderete chi emigra illegalmente.

Per i profughi l’Unhcr ha proposto 20 mila posti legali in Europa ma l’Ue ha rifiutato. Queste politiche “salterebbero” la Libia perché chi emigra legalmente prende l’aereo, non i gommoni dei trafficanti libici (…). Gestire e regolarizzare, non bloccare».

Mara D’Arcangelo

Settembre 2017

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