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Le bugie hanno le gambe buone?

film “The Farewell”

Il film “The Farewell” racconta, con ironia e profondità, l’incontro e lo scontro fra due donne diverse, Oriente e Occidente, tradizione e modernità

Billi Wang è una trentenne nata a Pechino ma cresciuta a New York. Tenta (senza successo) di ottenere una borsa di studio al Guggenheim per seguire le sue inclinazioni artistiche e, come molti ragazzi della sua età, fatica a pagare l’affitto del mini appartamento in cui vive.

Tzi Ma, soprannominata «Nai Nai» (termine informale con cui in mandarino si indica la nonna) è un’amorevole seppur autoritaria anziana cinese. Una vera e propria matriarca, legata alle tradizioni del suo Paese.

A raccontare il loro legame, a distanza eppur strettissimo, è «The Farewell», secondo film della regista Lulu Wang (nome d'arte per Wang Ziyi) nata, come la protagonista della pellicola, a Pechino, cresciuta a Miami e che ha studiato a Boston. Una storia biografica, la sua, che è già valsa alla giovane rapper Awkwafina il Golden Globe 2020 come miglior attrice. Un racconto drammatico e comico allo stesso tempo, nel quale il tema della malattia si intreccia con il rapporto fra culture ed età diverse.

Nonna e nipote. Oriente e Occidente

La pellicola si apre con una telefonata fra le due familiari: Nai Nai è in ospedale. Le viene diagnosticato un tumore, ma la famiglia decide di mantenere il segreto per consentirle di vivere serenamente gli ultimi mesi. Per starle vicino senza destare sospetti, i parenti improvvisano il matrimonio dell’unico nipote maschio. Una bugia buona, che a tratti ricorda quella di Roberto Benigni ne «La vita è bella». Tutti sono d’accordo. Tutti tranne Billi.

Perché non informarla? È giusto nasconderle la verità? Negli Usa è illegale tacere al malato le sue condizioni. In Cina la prassi è negare anche l’evidenza, truccare i referti: «In Oriente - spiega lo zio, che a sua volta vive in Giappone - una persona è parte di un tutto e conta più questo della sua stessa individualità.

Così sta ai parenti prendersi il peso del dolore della scomparsa e non dire niente a lei». In realtà, la risposta giusta e definitiva non esiste. Lo ha rivelato la stessa regista in un’intervista: «Nessuno fa la parte del cattivo in questa famiglia. Per me si tratta di una storia sui “linguaggi dell’amore”, sui diversi modi culturali e individuali di esprimere l’affetto e le tante incomprensioni che ne derivano, soprattutto all’interno delle realtà di oggi che vivono a cavallo tra culture diverse».

Lo scoprirà anche Billi in un viaggio nel passato, in una città per lei ormai sconosciuta: le strade sono degradate, gli alberghi sono frequentati da signori che si accompagnano a minorenni, i palazzi sono sempre più alti, tolgono lo spazio al cielo e sotterrano i giardini pubblici, quelli dove ha vissuto i momenti più felici dell’infanzia. Ricordi e presente, Oriente e Occidente, tradizione e modernità si incontrano. Si scontrano. Alla fine, però, prevale l’amore.

Di fronte all’inevitabile dibattito «Meglio l’America o la Cina?», la protagonista se la cava con un «Sono diverse», mentre la questione rimbalza da una scena all’altra, senza mai ottenere una risposta. Perché, come la nonna rivela alla nipote, «non conta il cosa, ma il come». E alla fine, a fare la differenza è solo il cuore.

Michela Offredi

Gennaio 2020

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