Uscire dalla crisi è possibile, ma anche ricaderci, se non si punta a vera innovazione ed educazione ai consumi
Tutti ricordiamo i drammi che hanno conosciuto i produttori di latte qualche anno fa, anche i meno avvezzi al mondo dell’economia, perché il drastico calo dei prezzi fece ovviamente notizia e suscitò dibattiti, clamore e gli ovvi malumori degli allevatori. Nel 2016 si era scesi fino a toccare, tra aprile e agosto, circa 34 centesimi al litro (prezzo del latte alla stalla in Lombardia, fonte: www.clal.it). Per gli allevatori si erano venute a creare condizioni critiche: il mercato non permetteva ritorni utili in grado di mantenere i costi di allevamenti e strutture. L’anno seguente la situazione è nettamente migliorata e la curva è salita fino a quasi 41 centesimi al litro nel periodo agosto-dicembre 2017. E oggi? I rapporti parlano chiaro: il primo semestre del 2018, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ha registrato nuovamente un calo del prezzo del latte alla stalla. Nel complesso, comunque, può dirsi superata la crisi del 2016, annus horribilis per i produttori del latte, ma, come spiega Bortolo Ghislotti: «Non bisogna sedersi sugli allori e, peggio, sperare quasi utopisticamente in un miglioramento spontaneo del mercato. Occorre agire e i modi per farlo ci sono».
Promuovere ed educare
I produttori di latte vanno maggiormente tutelati, e così anche il latte stesso. Il nostro latte va differenziato da quello prodotto in altri Paesi: non bisogna mai smettere di ricercare la qualità – ciò che può rendere il nostro latte veramente differente – e al consumatore va sempre garantita e sottolineata la trasparenza, relativamente in primis alla filiera. Un grande passo in avanti è stato l’obbligo, in Italia, di indicare in etichetta la provenienza del latte (nel resto d’Europa non è obbligatorio), ma occorre andare oltre. Andrebbe certamente potenziata la fase di promozione: i nostri prodotti lattiero-caseari devono essere conosciuti nel nostro territorio, ma vanno portati anche al di fuori dei confini nazionali. «Le imprese locali, incluse quelle del Distretto agricolo della Bassa Bergamasca, hanno grandi potenzialità: vanno aiutate a farsi conoscere e ad esportare. Lo sbocco su altri mercati permetterebbe inoltre di non subire eccedenze, dunque sprechi. Dobbiamo poter essere competitivi anche a livello europeo e proporre al mondo l’eccellenza del latte made in Italy, un po’ sulla falsariga di quello che già sta facendo la Baviera, perché sul latte non siamo secondi a nessuno», commenta Bortolo Ghislotti del DABB. L’episodio a cui si fa riferimento è quello del Ministro della Baviera per l’alimentazione e l’agricoltura, Michaela Kaniber, che si è recata poco tempo fa a Milano per presentare le eccellenze del suo Land e rassicurare il mercato italiano circa gli elevati standard di qualità del latte bavarese (il mercato italiano è quello a cui i tedeschi guardano con vivo interesse). Anche noi dovremmo imparare da loro. In sostanza: occorrono interventi incisivi, determinanti, non semplicemente di facciata o propagandistici. Ma oltre a promozione internazionale e sostegno ai piccoli produttori ci sono altri punti importanti del programma, non meno fondamentali. La sensibilizzazione e l’educazione nelle scuole e per le famiglie possono essere altre armi vincenti. Coinvolgere i giovani studenti e le nuove generazioni, così come i loro insegnanti e genitori, spiegare loro le fasi di produzione del latte, il modo in cui questo viene trasformato nel cibo che consumiamo e, soprattutto, indicare loro come interpretare correttamente le etichette, sono tutti modi per formare i consumatori consapevoli di domani, che saranno dunque anche più attenti alle problematiche del settore e ne sapranno cogliere il valore.
Investire, innovarsi, cambiare
Ora si spera in un secondo semestre 2018 più promettente. Nonostante la crisi a cui è andato incontro il settore in passato, ancora non si è provveduto a migliorarlo strutturalmente. La storia stessa, con i suoi corsi e ricorsi, ci insegna che le crisi possono verificarsi di nuovo e, in particolare, divengono inevitabili se non si apprende dagli errori del passato per evolversi, cambiare e innovare. Bisogna capitalizzare quanto di buono è stato fatto ed essere lungimiranti: “investire” è la parola chiave. Ma gli investimenti in agricoltura non sono mai a breve termine, specie nella zootecnia da latte: bisogna rimettersi sempre in gioco, trovare nuovi mercati, ristrutturare la filiera e scoprire senza timore le potenzialità del biologico. Perché, come disse Einstein: «Non posiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose».
Rubrica promossa in collaborazione con Bortolo Ghislotti, titolare della IRIM srl